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L'ACCADEMIA DEL SEMOLINO - Assolutamente ni.

E’ da tempo invalso il pessimo uso, sia da parte delle persone più giovani, sia da parte di quelle che anelano a dimostrarsi tali, di non limitarsi più ai semplici “si” o “no” per affermare o negare una circostanza o per rispondere alle domande anche le più semplici e dirette.
Ora i due piccoli, semplici, storici avverbi, vengono fatti precedere, e sempre a sproposito, dal pomposo, inutile e fuorviante: “assolutamente”.
Si sente sempre più spesso rispondere: “Assolutamente sì” o “Assolutamente no” a domande quanto mai banali e semplici che non meriterebbero una replica così decisa ed entusiasta ma si accontenterebbero ( e non sarebbe poco) della semplice verità.
“Verrai domani alla partita?” si chiede all’amico che, senza darti nemmeno il tempo di rifiatare replica deciso e risoluto: “Assolutamente sì”. E non viene.
“E’ lei Domenico Crosarulli, nato a Peretola, il 10 Agosto 1870?” chiede il giudice all’imputato. “Assolutamente sì”, è la risposta a significare che non solo lo è, ma lo è anche di più.
“Vuoi tu, Alberto Mauti, sposare la qui presente Ada Dondini?” chiede il prete che officia il santo rito del matrimonio. “Assolutamente sì”, rischia di sentirsi rispondere il prelato (figuriamoci: assolutamente sì.. Se ne riparla tra trent’anni).
Non si capisce perché i semplici “sì e no” non dovrebbero essere sufficienti (e spesso più che sufficienti) a stabilire la verità delle cose; io, per mio conto, ho la strana impressione che questo “assolutamente” serva in verità come autoconvincimento per chi lo pronuncia. Insomma, poiché lui stesso non è tanto certo della risposta, ci mette davanti un bel “assolutamente” e si può così convincere di aver risposto il vero. “Ma siamo sicuri che non l’hanno fatta in Cina?” ho chiesto ieri al venditore ambulante che mi proponeva una borsa Luis Vuitton per  10 euro. “Assolutamente no” è stata la decisa risposta. Non ci crederete ma, nonostante la perentorietà di quel “assolutamente”, ho pensato che cercasse di fregarmi.
Ma da dove viene questo “Assolutamente” così inutile ma così usato?
L’avverbio dovrebbe eliminare ogni dubbio sulla risposta e quindi troncare ogni discussione; il suo uso nasce forse dalla necessità dialettica di abbandonare definitivamente l’uso di costruire le frasi in modo troppo elaborato e barocco così come si faceva nel secolo scorso.
Ricordo una volta che un imputato, messo alle strette da un Pubblico Ministero che gli chiedeva se era stato lui a commettere un certo reato, dopo un mese di udienze e di rinvii, stremato rispose: “Non mentirei se non negassi di non aver commesso il fatto ma non lo farò: è vero proprio il contrario. E ora basta. Non aggiungerò più una parola”. Silenzio in aula. Tutti si guardano sgomenti; avvocati, testimoni, giudice e pubblico: “Che ha detto?”. Dopo un’ora la seduta viene aggiornata. Il giorno dopo il giornale A titola “Il reo confessa: è lui il colpevole” mentre il giornale B (della parte politica avversa a quella di A) strilla in prima pagina: “L’imputato proclama la propria innocenza!”.
Oggi invece con “Assolutamente” si vuol dare l’impressione di essere stracerti di una cosa ma si rischia di usare l’inutile avverbio a sproposito; messa alle strette una mia amica alla quale chiedevo da mesi un rendez-vous, incertissima su quale decisione prendere rispose: “Ci penserò. Penso che probabilmente accetterò anche se non potrei affermare di volerlo assicurare al cento per cento. Vorrei e non vorrei, chi lo può dire? E poi potrei cambiare idea all’ultimo momento, chissà?”. La misi alle strette: “Dimmelo. Dimmi se stasera verrai all’appuntamento. Verrai o non verrai?”. Ero esasperato. Lei si schernì, come solo le donne sanno fare, poi, vedendomi deciso ad avere finalmente una risposta, per dimostrare come fosse decisa nella sua indecisione rispose: “Assolutamente forse”.

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