dal Settembre 1982 sui sentieri della Toscana...

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USCITA del 26 Dicembre 2010 (Domenica e Santo Stefano)

Sull'argine
 Bella giornata; ma comincia a far freddo. Non importa: si va! Ed eccoci al piazzale pronti per la camminata corroborante dopo i vari pranzi e pranzetti di Natale. A dire il vero tanti non siamo, ma buoni, sì. Oltre a me c'è Alberto il Chimenti, la Francesca Brotini (presente dopo lunga assenza), il Cerbioni e il Turi con annesso Gèkke (jack) al seguito. A esser precisi si era materializzato anche, proveniente da luogo e direzione sconosciuta, il Barone Ammannati, ma ha subito detto che, causa mancanza di tempo, ci lasciava liberi di andarcene ove più ce ne piacesse, preferendo lui medesimo (l'Ammannati) dedicarsi a breve sgambinata col Brucini.
Lungo i canneti sull'argine
Panorama con San Miniato
Stavolta quindi, nuovi orizzonti! Tutti nell'auto del Turi fino alla Catena, dove, traversata la Statale, abbiamo imboccato la stradina sterrata fino a che non finisce presso il greto di un argine. E così, via col liscio! All'avventura e fidandoci del nostro (me escluso) senso di orientamento abbiamo vagato un pò in qua e un pò in là, per argini, canneti, strade bianche e campi fradici fino a quando, correggendo spesso la rotta ed evitando chiuse, sbarramenti vari e cani feroci, siamo giunti in vista del cimitero di San Pierino. Da qui, orientandoci a naso, ritorno. L'insolita sortita era finita dopo 2 ore e passa di camminata. Prosit!

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L'ACCADEMIA DEL SEMOLINO - E' Natale! E' Natale!

Già, ma che cos’è il Natale?
Io sapevo (o almeno credevo di sapere) che il Natale, quello che si celebra il 25 di Dicembre, è un giorno speciale, il giorno in cui si ricorda un anniversario importante, niente meno che la nascita di Gesù Salvatore.
Del resto il nome stesso: “Natale” altro non è che l’abbreviazione di “Giorno Natale”, come a dire il giorno della Nascita più importante per i cristiani, la Nascita per autonomasia in quanto Chi nasce è Colui che sconfiggerà la morte.
Questo, e niente di meno di questo, era il Natale della mia infanzia, e dell’infanzia dei miei genitori e dei loro genitori e così via, procedendo all’indietro nei tempi fin quasi ai primordi della Cristianità.
La sera della vigilia di Natale, nella Notte Santa, la famiglia trovava sempre il tempo per riunirsi in breve raccoglimento davanti al Presepio, quel Presepio che i genitori, aiutati dai più piccini, avevano provveduto ad allestire nei giorni precedenti.
In casa mia c’erano regole ferree al proposito. Dopo che la mamma aveva liberato la superficie della cassapanca che troneggiava nell’ingresso (e che avrebbe costituito, unico posto adatto allo scopo, il teatro della sacra rappresentazione), il babbo tirava fuori le statuine dallo scatolone dove avevano giaciuto dimenticate per un anno intero e le esaminava ad una ad una per vedere se non si fossero rovinate in qualche parte. Io, da parte mia, mi ero già occupato nei giorni precedenti della parte più difficile: reperire la borraccina. La borraccina! Il muschio, direbbero oggi alzando il naso con aria schifata all’udire la volgare parola, ma, credete a me: muschio quello non era; non almeno quello che trovavo io. Io trovavo della bellissima borraccina, niente di più e niente di meno; grassa, umida, verde come un ramarro dalla pelle color smeraldo e profumatissima di sana terra invernale. La mettevo, suddivisa in larghe sfoglie, dentro in un sacchetto di tessuto da balla e il giorno della costruzione del Presepio la tiravo fuori, a disposizione del babbo e della mamma che la disponevano accuratamente sulla cassapanca la cui superficie ne veniva tutta ricoperta salvo la parte dove sarebbe andata la capannuccia e una più centrale, rotonda, dove la mamma metteva un piccolo specchio circolare che fungeva da laghetto. La capannuccia si metteva in un angolo, bene in vista da parte di chi entrava, e dentro c’era anche una piccola lampadina che, nascosta, la illuminava di una lucina diffusa e misteriosa. Dalla porta della capannuccia si dipartiva una stradina fatta di segatura mentre dietro la capanna c’era, fatta con la carta da pacchi, tutta una pendice montana contorta e dirupata dove piazzavamo a discrezione pecore e pastori. I pastori stavano lì, in equilibrio instabile ed in certe pose così poco spontanee che facevano quasi tenerezza, chi voltato a destra, chi a sinistra come a cercar il modo di scendere da quella scomoda posizione in cui qualcuno li aveva cacciati mentre le pecorelle giacevano sparse in qua e là per quelle rocce come pesci fuor d’acqua che, anche se per contratto facevano il verso di brucare qualcosa, c’era da giurarci che di erba in quei posti, non ce n’era nemmeno l’ombra.
Nei paraggi della capanna della Natività, gran fermento. Una folla sparsa di lavandaie, pastori, garzoni, donne di casa, contadini si aggirava con aria allegra e tirata nei dintorni. C’erano anche un arrotino, un cantastorie, un arabo con cammello, un negretto, e un pescatore con tanto di canna (pescava nello specchio); quanto agli animali domestici e da cortile, a bizzeffe. Tacchini, oche, maiali, caprette, buoi in ogni dove, e ancora cammelli, dromedari e un elefante. Un cigno di plastica (stonava con il resto della compagnia) sguazzava altero e dignitoso nell’acque del laghetto (sempre lo specchio).
Il babbo per ultimi disponeva nella capannuccia i protagonisti indiscussi dell’intera scenografia: la Madonna, Giuseppe, il bue e l’asinello, mentre la paglia dove dopo mezzanotte sarebbe stato deposto il Bambin Gesù restava nel frattempo desolatamente vuota, e c’era da chiedersi perché Maria e Giuseppe restassero inginocchiati e in atteggiamento adorante davanti ad un giaciglio dove ancora non c’era nessuno, ma forse già presagivano chi sarebbe arrivato e non volevano farsi trovare impreparati... Per finire sul tetto della capannuccia si incollava una fiammante Stella Cometa (di cartone ricoperto di lustrini) mentre i Tre Re Magi, per far parte della bella compagnia, dovevano rassegnarsi ad aspettare ancora qualche giorno perché nel Presepio prima del giorno dell’Epifania la mamma, custode ed interprete delle Scritture come una Cristiana della prima ora, non c’era verso che ce li mettesse.
E come la mia, ogni famiglia faceva il proprio Presepio, e ogni chiesa, ogni scuola, ogni confraternita, ogni circolo… Ricordo che la vigilia di Natale io e i miei amici si andava per chiese (a Siena, hai voglia di chiese, almeno allora) a visitare i Presepi, e ce n’erano di quelli famosi, alcuni musicali, alcuni artistici, e monumentali, e viventi…
La notte, noi bambini si andava a letto tutti eccitati: che ci avrebbe portato il Ceppo? Il Ceppo era l’abbreviazione popolare del Natale; si diceva “Pel Ceppo si sta tutti in famiglia”, o anche “Fra poco è il Ceppo”; io penso che probabilmente la parola derivava dall’usanza contadina di mettere al centro del focolare un bel ceppo di legno la notte di natale. Babbo Natale no, quello ancora non era nato.
Il giorno dopo noi ragazzi appena alzati, via! Ancora scalzi, con la mamma che ci gridava dietro: “Mettiti le scarpe, ti raffreddi!”, s’arrivava in un lampo davanti al focolare e lì c’erano i regali. Beh, forse dovrei dire “il” regalo perché più di uno era difficile trovarne. Una volta un trenino, un’altra la pistola coi fulminanti a striscia, poi, via via che si imparava a leggere, arrivavano i libri… Alle 12 si andava in Cattedrale per la Messa Solenne e nel pomeriggio a fare il giro dei parenti che qualcosa, in cambio di un “Buon Natale, zio” e di un abbraccio frettoloso, ti allungavano sempre. Ah, dimenticavo: a pranzo quel giorno c’era il mitico pollo al forno con patate arrosto, e per finire il panforte e i ricciarelli… Che grande Natale! Che bei Natali! Che fantastici, meravigliosi, indimenticabili Natali!
Poi, piano piano, mascherato da operazione commerciale ma pianificato come una campagna bellica, arrivò, piano piano, di nascosto, ma decisissimo a prevalere, il Grande Nemico del Natale vero: il grassone dall’occhietti porcini e dal naso paonazzo, il grosso giullare velatamente pedòfilo tutto vestito di rosso con cinturone di cuoio e stivaloni a mezza gamba; venne tutto allegro con la candida barbona curatissima e l’espressione arguta e velatamente cameratesca, venne il dirompente alieno da Non-si-sa-dove a scalzare dal suo piedistallo fatto di vera storia, di sentita religiosità, e di sana cultura popolare il vecchio caro Presepio, venne lui: Babbo Natale!
Niente fu più prima. Il vecchiaccio lubrico si impossessò del Natale sbaragliando il presepio e sostituendo all’umile religiosità popolare la dirompente potenza di migliaia di prodotti commerciali reclamizzati in ogni dove con campagne di pubblicità suadenti ma ossessive e martellanti. Babbo Natale! Ma che cosa vuole costui? Come è stato permesso a questo insipido gadget della Coca-Cola di sostituirsi nientemeno che a Gesù Bambino?
Non lo so; non lo sa nessuno. So solo che è stato fatto e che il 25 Dicembre da ricorrenza di un fatto storico e religioso si è trasformato in un happening del consumismo più inutile e sfrenato, a somiglianza della Giornata della Mamma o di quella del Papà, una specie di Giornata del Regalo o della Spesa A Tutti I Costi.
………
Gesù Bambino è nato anche oggi, come fa da oltre duemila anni, in una mangiatoia. Un pò più solo, un pò più dimenticato ma anche oggi, come allora, è nato per noi, per morire per noi, per offrirci, senza nessun motivo apparente e senza alcun nostro merito, nonostante noi e nonostante Babbo Natale, nientemeno che la salvezza, nientemeno che l’eternità.
Grazie, Gesù.

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AUGURI 2010

Anche questa volta, come l'anno scorso, ci si è messa la neve per farci rimandare la cena di fine anno della Compagnia del Buoncammino.
Nel mio piccolo offro pertanto questa modesta foto virtuale per augurare a tutti i Soci della Compagnia e ai loro familiari, a tutti i simpatizzanti, a tutti i partecipanti in pectore e perfino ai semplici visitatori dei questo sito:

I Migliori Auguri di Buon Natale e di Felice Anno Nuovo 2011!!

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USCITA del 12 Dicembre 2010 (Domenica)

Finalmente stamani non pioveva, non faceva tanto freddo, non tirava vento e me la sentivo ed allora finalmente, dopo troppe assenze, eccomi bello pimpante all'appuntamento dell'ex-Liceo delle 8 in punto, pronto alla rituale scarpinata. A dire il vero il cielo non era proprio sereno ma le nuvole che c'erano non davano l'aria di essere cattive dopo tutta la pioggia dei giorni scorsi. Non  avrebbe piovuto, lo sentivamo, e così siamo partiti con le auto verso la Borghigiana senza nemmeno prendere gli ombrelli. Eravamo in nove; ecco i nomi dei partecipanti: io, Giancanio, Brotini, Panicacci, Baroni, Cerbioni, Caciagli, Brucini e Gennaro.


L'itinerario l'abbiamo inventato lì per lì dando credito a Giancanio che aveva proposto come meta Casale, così, imboccata la strada che va a Gargozzi l'abbiamo lasciata di lì a poco salendo sulla destra fino ad incontrare una casa. La strada sembrava terminare contro un cancello, ma un uomo ci ha detto di provare a salire. Così abbiamo fatto ed abbiamo continuato a salire anche allorquando un pastore ha provato a dissuaderci dicendo che tanto non si poteva arrivare a Casale.

 Fregandocene dell'interessato consiglio (il Tizio non voleva che si scavalcasse il suo recinto per paura che si rovinasse) abbiamo proseguito imperterriti. C'era un recinto di rete metallica ma, trovatovi un foro, ci siamo passati e, con un pò di fatica, siamo saliti in cima alla collina. Da lì dopo poco siamo giunti a Casale e da lì, in breve, alle auto, a completamento della nostra camminata.

Nelle foto:
- Una parte della comitiva in cima alla collina
- Parte del gruppo davanti al panorama di San Miniato
- Il Caciagli impegnato a superare l'ultima difficoltà.


Ovviamente tutte le foto dell'escursione si possono trovare sul link del Buoncammino (indicato qui a lato): sono identificate dal prefisso BC 2010-12-12.
RM

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L'ACCADEMIA DEL SEMOLINO - Con quest'acqua e questo vento...

Ragazzi, chiedo scusa.
L'ho visto che (prima volta nelle ultime domeniche) questa volta non pioveva, ma che volete farci se non me la son sentita di alzarmi alle solite 7 del mattino per essere puntuale all'appuntamento. A dire il vero mi sono alzato e  ho anche guardato dalla finestra dove le colline  si andavano schiarendo a causa di un timidissimo solicicchio tutto impegnato a voler dare ad intendere che per tutto il giorno, no, non sarebbe piovuto.
Ma era piovuto il giorno prima, e quello prima, e quello prima ancora. Era piovuto quasi ogni giorno della settimana che andava a concludersi e quasi tutte le settimane erano state così. Ho pensato a come sarebbero state ghiacce le scarpe, e infangate le strade bianche, e motosi i boschi e i prati; ho pensato alla strana bruma autunnale nemica giurata delle buone fotografie, ho pensato ai panorami pressoché invisibili e ho preso una decisione; sofferta ma irrevocabile. Sono tornato a letto (dove ho recuperato un notevole sogno interrotto qualche minuto prima).
Perdono! Perdono!

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L'ACCADEMIA DEL SEMOLINO - Il condizionale

Come tutti sanno, saper usare a modo il condizionale ed il congiuntivo è indice sicuro di una buona conoscenza della lingua italiana.
“Verrei, se potessi” si dice, intendendo con ciò una volontà che potrà esercitarsi solo “a condizione” che un certo evento si verifichi.
“Non lo sposerebbe di certo, se lui non fosse così ricco” si suol dire della disincantata signorina che, più che alle ragioni del cuore, si lascia convincere dalle opportunità economiche offerte da un certo matrimonio.
Ma il modo condizionale viene assai utile anche quando si vuol dire e non dire, lanciare il sasso e ritirar la mano, fare una confidenza e smentirla subito dopo, svelare un segreto con l’aria innocente di chi riporta le confidenze di un altro, e così via. Va da sé che un modo verbale così disimpegnativo (perché deresponsabilizza chi se ne avvale) e prestigioso (perché conferisce al suo utilizzatore una pàtina di cultura a buon mercato) cade a pennello  negli studi telegiornalistici delle reti televisive dove ormai l’informazione è principalmente gossip, riporto di dicerie più o meno verificate e previsioni che si dimostreranno sempre abbastanza inattendibili (se non strampalate).
Ecco quindi che, abituata ad comunicarci notizie da rotocalco che vengono sempre subito smentite, con l’aria di comunicarci un tragico scoop, (una rissa che finisce con un morto accoltellato) la pettinatissima giornalista RAI si azzarderà a comunicarci che “una violenta lite sarebbe scoppiata ieri notte all’uscita di un bar vicino a Pavia. La rissa, innescata probabilmente per futili motivi, avrebbe coinvolto due persone, tra le quali una potrebbe essere uno straniero dell’Europa Orientale. I due sarebbero presto scesi alle mani e, successivamente la lite sarebbe degenerata. I carabinieri, prontamente intervenuti avrebbero trovato il cadavere di un uomo, bianco, di età indefinita, riverso a terra in una pozza di sangue. Vicino a lui potrebbe essere stato trovato un coltello, pare a serramanico, che, secondo un funzionario dell’Arma, che ha preferito restare anonimo, non sarebbe incompatibile con la presumibile arma di quello che si prefigurerebbe come un possibile omicidio. Sembra che il corpo dell’uomo sia stato trasportato nella sala mortuaria del vicino ospedale; forse si potrebbe accedere ad una autopsia per accertare le possibili cause del suo decesso”. (E, in contemporanea con questa demenziale telecronaca scorrono le immagini in successione di: panoramica dall’alto della zona del delitto; foto dell’insegna di un bar; tre carabinieri che parlano; inquadratura dalla vita in giù di persone che camminano su un marciapiede; intervista ad un ragazzo, inquadrato di spalle che dice: “non ho visto niente”; auto che passano per una strada; una fettuccia bianca e rossa davanti ad una auto con scritto CARABINIERI; tre ragazze che camminano veloci, inquadrate rigorosamente di spalle; indicazione stradale con il nome del paese).
Evviva il condizionale!


 

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