dal Settembre 1982 sui sentieri della Toscana...

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LA VIA FRANCIGENA E LA TOSCANA -4-

Parte Quarta - TOPONOMASTICA E STORIA

Innanzitutto meglio sgombrare subito il campo da idee sbagliate: la Via Francigena non era “solo” una strada, non era “solo” il mezzo più comodo e veloce per raggiungere il centro dell’Italia e Roma “caput mundi” per coloro che provenivano da Nord; la tradizione cristiana faceva della strada il simbolo stesso della vita umana. Come il cristiano percorre gli anni della sua vita alla ricerca del volto del Redentore che gli si dispiegherà appieno solo dopo la morte, così il pellegrino nel suo cammino percorreva la strada (andando incontro, consapevolmente, ai mille pericoli che il viaggio celava) come una espiazione, fino al raggiungimento della meta finale che coincideva con l’acquisizione della Grazia.

Se per i credenti il viaggio era un mezzo per avvicinarsi a Dio, la storia di una strada significa anche la somma delle mille storie dei suoi gestori e dei suoi utenti. Storia dei padroni delle zone che la strada attraversava, storia dei gestori delle strutture (gli ospizi, le mansioni, i ponti), storia dei viandanti che potevano essere persone di ogni genere: mercanti, frati, “clerici vagantes”, emarginati, soldati, magari crociati ma tutti accumunati in una categoria specifica che li rappresentava: i pellegrini.

I “romei” erano la categoria di gran lunga più rappresentata coloro che percorrevano la Via Francigena; diretti a Roma, la città “Caput mundi”, l’antica sede dell’Apostolo Pietro, vi si recavano a venerare la celebre reliquia della “Veronica” con la sua “vera” immagine del volto di Gesù che nell’alto Medio Evo e dopo l’anno Mille attraeva, dispensando grazie miracolose, genti da ogni parte del mondo conosciuto. Dante ne parla nella sua Vita Nova e, qualche decennio dopo anche il Petrarca cita questa categoria di pellegrini. Occorre ricordare che la reliquia della Veronica, riconosciuta successivamente come un’antica icona bizantina, era creduta, all’epoca, come l’autentico velo con cui la pia donna asciugò il volto di Cristo diretto al Calvario. Naturalmente i romei non erano i soli pellegrini a percorrere la Via Francigena. Sul suo asse viario si incrociavano i romei diretti a Roma (e in Terra Santa) con quelli che la percorrevano in senso inverso tornando ai rispettivi paesi di origine; e c’era anche un'altra tipologia di pellegrini che usavano la Francigena: i pellegrini delle terre del meridione diretti al Santuario di San Jacopo di Compostella i quali andavano da Roma a Luni dal cui porto si imbarcavano per la Galizia.

Dal 1300 (anno del primo Anno Santo) i pellegrini diretti a Roma aumentarono in modo sostanziale e così quelli diretti in Terra Santa: il loro numero produsse la nascita di una enorme quantità (se rapportata a quella degli altri territori) di santuari, abbazie, ospedali, ospizi e, conseguentemente, di villaggi, paesi e nuclei abitativi la maggior parte dei quali ricordavano, nel loro nome, il tema del viaggio, dell’ospitalità e delle strutture viarie.

Ecco quindi come anche la toponomastica aiuti a stabilire il percorso della Via Francigena quando esso risulta confuso o non documentato; toponimi come “Camminata”, “Crocetta”, “Voltole”, “Strada” (dal latino “via strata”) e simili servono come e più degli scarsi documenti per indicare il percorso della via. In altri casi i nomi sono legati alle strutture che si incontravano sulla percorso, come: “Spedale”, “Magione”, Taverna”, “Bettola”, “Buonriposo” e simili. Importanti sono le dedicazioni delle chiese che si trovavano lungo la Francigena, spesso richiamanti il Santo Sepolcro (la meta ideale del pellegrino) e le Terre Sante. Ecco quindi le chiese di Santa Maria a Bellèm (richiamo a Betlemme), San Jacopo (richiamo a Compostella) e tutte le chiese dedicate ai Santi estranei alla storia italica ma tipici della cristianità gallica come San Quintino, Sant’Ilario, San Remigio, San Marziale, San Nazario e San Genesio (da Saint Denis) oltre a quelli protettori dei viandanti come San Pellegrino e San Giuliano.

La strada che si snodava lungo la Toscana tagliandola quasi a metà con una direttrice nord-est/sud-ovest aveva, tutto sommato, una sua unità.

Anzi, si può affermare che è stata, storicamente, proprio la Via Francigena a conferire una qualche unità ad una regione (chiamata “Tuscia” fino al X secolo, “Tuscana”, successivamente) che non l’aveva mai avuta fino ad allora e non l’avrebbe avuta nemmeno più tardi. Anzi se pensiamo all’antica struttura autonoma delle “poleis” etrusche alla quale Roma non si sostituì mai completamente, e successivamente alla frammentazione longobarda, quindi alla polverizzazione territoriale della “marca franca” ed infine alle lotte interminabili delle città comunali, rivolte l’una contro l’altra, si può affermare che la Toscana una vera unità non l’ha mai avuta (e non l’ha mai desiderata). Anche dal XIV secolo, quando Firenze comincia ad affermarsi con una egemonia regionale, e successivamente quando tenta di ridefinire geostoricamente la regione stessa, l’unità resta una pia intenzione. Nemmeno il granducato dei Medici – diviso nei due ducati fiorentino e senese, originati dalla storica frattura fra una Toscana centrosettentrionale ed una meridionale – riuscì a conferire unità alla regione per cui, l’unico elemento storicamente unitario e unificante risulta essere proprio quella strada che collegava Lucca, “seggio di marchese”, con Siena “figlia della strada”.

RM

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NEVICATA SUPER!



Venerdì notte la neve è caduta copiosa su San Miniato e dintorni (oltre che in quasi tutta Italia).Era il 18 Dicembre e il gelo della notte successiva non ha fatto altro che peggiorare la situazione della viabilità.
Ma un vantaggio la nevicata (fra i tanti svantaggi) ce l'ha avuto: ha composto paesaggi eccezionali ed insoliti, sia nel capoluogo che nella campagna circostante.
Come, ad esempio, l'alba del sabato mattina, sorta spettrale tra la campagne circostanti.
Poteva mancare la mia macchina fotografica? No di certo!
La galleria completa si può vedere cliccando qui a lato sotto il link: NEVICATA.

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LA VIA FRANCIGENA E LA TOSCANA -3-

Parte Terza - TRE VIE FRANCIGENE?

La Toscana, nella parte che ci interessa particolarmente (e cioè da Fucecchio a Siena) era attraversata da ben tre percorsi distinti di Via Francigena. Il primo e più antico era quello descritto da Sigeric e si svolgeva, fra San Genesio e San Gimignano, sul crinale delle colline ad occidente del fiume Elsa fino alla città delle Cento Torri e da qui, evitando di scendere in piano, si dirigeva, primaa Borgo d’Elsa, quindi a Badia a Isola e da qui a Siena.

Per essere precisi ecco più in dettaglio il tracciato più importante di questo percorso nella zona che per noi riveste un particolare interesse:

Da Fucecchio (dove si trovava una famosa Abbazia) la via traversava il fiume Arno in un punto prossimo all’attuale Roffia, dirigendosi poi a sud est verso San Genesio. Saliva quindi sulle colline a sud di Ponte a Elsa, traversava Calenzano, poi, volgendo più marcatamente a meridione, rasentava San Quintino e si portava a Coiano passando tra Campriano e Castelnuovo d’Elsa. Traversando poi tra le località di Santo Stefano e Pillo, raggiungeva la Pieve di Chianni e da lì, Gambassi. Da Gambassi, raggiungeva Luiano, quindi Pancole, poi Cellole ed infine, passando da una località chiamata Strada, entrava a San Gimignano dalla cosidetta “Porta delle Fonti”.

Il secondo itinerario, del quale si hanno notizie a partire dal XI secolo, quando cominciò ad essere utilizzato comunemente, si svolgeva invece lungo la sponda orientale dell’Elsa e, da San Genesio-San Miniato raggiungeva Borgo Marturi (Poggibonsi) passando (come la strada statale odierna) da Certaldo e Castelfiorentino. Da Borgo Marturi si innestava nell’usuale percorso sigericiano per giungere finalmente a Siena (come si vede, questo secondo itinerario evitava di passare per San Gimignano).

Da qualche tempo, gli studiosi sono certi di aver trovato tracce di un terzo itinerario che può essere considerato una variante dell’antico percorso di Sigeric.

Descriviamo questo tracciato ipotizzando di dover raggiungere San Genesio provenendo da Borgo Marturi (Poggibonsi):

Dopo Poggibonsi, attraversando il torrente Foci in località Tre Vie, si giungeva dopo circa 4 chilometri a “La Fonte” e quindi a “Torri” (dove era una mansione di notevole importanza). Lasciata Torri, si raggiungeva Ulignano da una breve deviazione posta in località “La Crocetta”. Poco dopo questa località la strada si biforca di nuovo e un ramo della biforcazione sale ripidamente sul crinale delle colline raggiungendo successivamente: Santa Maria a Villa Castelli, Cassero e Santa Lucia. Da qui, la strada digrada verso il fondo valle dell’Elsa e raggiunge un altro insediamento chiamato “ Badia a Elmi”. Da Badia a Elmi la strada continuava, allora come adesso, verso Castelfiorentino, passando da alcuni casali dai nomi significativi come “Buonriposo” e “La Posta”. Dalla pianura la strada riguadagnava poi il crinale passando per “Canonica” e “Badia a Cerreto” risalendo la vallettina del torrente Casciani fino a Sant’Andrea a Gavignalla. Da qui, proseguiva per Varna e raggiungeva poi Castelfiorentino. Poiché transitava ad occidente dell’abitato, la strada non passava propriamente dall’abitato, ma dal suo sobborgo chiamato “Santa Maria della Marca”. Poi la strada toccava Dogana e quindi Castelnuovo d’Elsa. Da qui, per Baccanella e San Quintino, la via raggiungeva San Genesio.

Ovviamente i tre itinerari che ho illustrato sono tutti “Via Francigena”; i viandanti sceglievano di volta in volta uno invece dell’altro a seconda dei loro interessi e convenienze. Solo nel XIII secolo, con l’affermarsi dell’itinerario fiorentino la Francigena, come ho già detto, perse importanza. Una conseguenza fu la crisi che coinvolse San Gimignano; il paese, che grazie alla via Francigena era assurto quasi al rango di piccola città, in breve tempo decadde miseramente e rimase in stato di sottomissione e miseria, per secoli.

NOTA: Nei secoli X e XI il borgo di San Gimignano, grazie alla Via Francigena (che qui poteva innestarsi alla strada che da Siena raggiungeva Pisa), assunse importanza, dimensioni, popolazione e funzioni pressoché urbane. Agli inizi del XIII secolo vi si contavano ben 9 “hospitatores” e almeno 10 istituzioni ospedaliere (tra le quali un lebbrosario posto in località Cellole).

Un’altra città che deve la sua importanza alla Via Francigena è Siena. Quasi sconosciuta fino al IX secolo, Siena divenne una meta obbligata per tutti coloro che da Nord intendevano raggiungere Roma. La Via si limitava a sfiorare la Prima Cerchia delle mura della città (coincidenti al colle di Castelvecchio), ma i suoi traffici e le gabelle riscosse conseguentemente, dettero un impulso cruciale alla costruzione di altri due borghi (Castel Camelio a nord e Castel Montorio a sud) che si unirono al primo nucleo altomedioevale a formare la città pressoché simile a quella che conosciamo oggi. Siena (che fu chiamata “Figlia della strada”), raggiunse in breve tempo lo status di libero comune e successivamente quello di Repubblica giungendo ad acquisire importanza politica, finanziaria e militare al punto da confrontarsi alla pari con tutti gli Stati Europei coevi.

RM.

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LA VIA FRANCIGENA E LA TOSCANA -2-

Parte Seconda - SPLENDORE E DECADENZA

Come abbiamo visto si deve a Sigeric, l’intrepido Arcivescovo di Canterbury, la prima descrizione completa del tracciato della via Francigena. Correva l’anno 994 e benché l’importante strada per Roma fosse fin dal VIII secolo l’accesso più battuto da coloro che, proveniendo da Nord, volevano raggiungere la città “caput mundi”, nessuno si era impegnato a descrivere dettagliatamente quell’itinerario. Come abbiamo visto dalla cronaca di Sigeric, la via (se di via si può parlare essendo la Francigena piuttosto un reticolo di strade bianche, sentieri e tratturi), verteva su poche città e su alcune località (dette “mansioni”) che costituivano il cardine della via stessa. Grande importanza (oltre alle città regine della Francigena toscana: Lucca e Siena – quest’ultima addirittura denominata nelle cronache: “figlia della strada”) era riposta in alcuni centri che, benché oggi decaduti, declassati o addirittura scomparsi (come la fantomatica mansione di San Pietro in Paglia), godevano allora di grande importanza e prosperità. Mi riferisco a San Genesio, ("hospitioque bonus", il borgo che fu distrutto dai sanminiatesi nel 1248), a Santa Maria in Chianni, a Coiano e a San Gimignano. Dall’itinerario di Sigeric si può notare che il percorso originale della Francigena ignorava il fondo valle dell’Elsa, spesso impercorribile nei mesi invernali per gli impaludamenti e le alluvioni, privilegiando invece, anche per una questione di sicurezza, i crinali delle colline che susseguono ad ovest del fiume.
Chi percorreva la Francigena doveva raggiungere un luogo di asilo o comunque un ricovero sicuro entro il calar del sole e questo produsse la nascita di zone di accoglienza (locande, spedali, canoniche e addirittura Abbazie) distanti l’una dall’altra un numero di miglia (da 7 a 12 a seconda la difficoltà delle condizioni del tracciato) equivalente a quello che un viandante poteva presumibilmente superare in una giornata di cammino. Alcuni centri che oggi consideriamo tra le località più importanti del tratto che va da Lucca a Siena ed oltre, erano evitati dalla grande via medioevale che, oltre ad ignorare Firenze, non transitava da alcuni grossi borghi come Certaldo, Castefiorentino e Poggibonsi che pure erano già costituiti e rinomati da tempo.
La via Francigena (che dopo la sua utilizzo sempre più massiccio da parte dei pellegrini diretti a Roma, fu anche chiamata “Romea”) contribuì in maniera cruciale a creare egemonie e a determinare la predominanza di castelli, paesi e liberi comuni rispetto ad altre località, distanti dalla sua direttrice principale, che si trovarono ad essere esclusi dai commerci indotti dalla grande strada. Presso le mansioni si costituivano comunità, nascevano aggregazioni di persone e di commercianti. Fino a tutto il XI secolo fu tutto un fiorire di attività che interessarono tutti i luoghi che si trovavano ad essere lungo la Francigena o nelle immediate vicinanze della strada. Furono istituite guarnigioni permanenti di soldati a tutela dei viaggiatori e i potenti e ricchissimi ordini monastici dell’epoca privilegiarono i loro insediamenti lungo quell’importante direttrice viaria. Quest’ultimo aspetto va fatto risalire ai Longobardi e alla loro “politica delle comunicazioni” che promuoveva la fondazione di monasteri per creare un sistema di strutture funzionali alla strada. Ecco quindi l’eccezionale frequenza di grandi abbazie (le “Abbazie Regie”) lungo la Francigena e nei suoi immediati dintorni come San Michele a Marturi (Poggibonsi), San Pietro d’Asso (vicino a Torrenieri), Sant’Ansano a Dofana e Sant’Eugenio (presso Siena), San Salvatore (Abbadia San Salvatore) e Badia a Isola.
Fa meraviglia il fatto che, dopo la cronaca di Sigeric, occorra attendere fino all’anno 1154 (ben 160 anni dopo) per avere un’altra descrizione del tracciato della via.
Questa volta fu un abate, Nicola di Munkthvera, che, partendo dal monastero di Thingor (in Islanda!!), intraprese un lunghissimo viaggio (se penso alle presumibili condizioni di viaggio di quegli anni deve essere stata una vera epopea) durante il quale dapprima sbarcò a Bergen (in Norvegia), poi, traversando la Danimarca, la Germania e la Svizzera giunse in Italia dove si immise nella Via Francigena seguendo un percorso che ricalcava (ma non esattamente) quello descritto da Sigeric.
L’abate Nicola scrisse le sue memorie di viaggio in un norvegese arcaico che solo da poco è stato possibile interpretare; descrivendo le località da lui incontrate dopo l’attraversamento dell’Arno, dice:

.. poi viene Sanctinus Borg (San Genesio); poi viene Martinus Borg (Borgo Marturi = Poggibonsi). Poi viene Semunt (Monte Maggio); poi viene Langa Syn (Siena). Dopo 3 giorni di cammino viene Klerkaborg (San Quirico d’Orcia), poi Hanganda Borg (Acquapendente); poi si va sulla montagna Clemunt (Radicofani). Il territorio da qui fino all’Appennino Ligure si chiama Ruscia (Tuscia = Toscana).

Nonostante si tratti di un resoconto assai sintetico, ecco che, per la prima volta, compare una variante al classico, antico percorso di Sigeric. Del resto anche da altre fonti emergeva la crescente importanza della località di Borgo Marturi (Poggibonsi) oltre a quella di Radicofani (a discapito dello scomparso San Pietro in Paglia) evidenziando nella Val d’Elsa uno spostamento verso il fondo valle del tracciato della Francigena. Pochi anni dopo (nel 1204) anche il vescovo patriarca di Aquileia, Wolfger, per recarsi a Roma narra di essere passato dalla mansione di Marthirburch (Borgo Marturi).
Queste modifiche di percorso emergono inequivocabilmente anche dalla descrizione del viaggio di ritorno dalla Terza Crociata del re di Francia, Filippo Augusto, avvenuto nel 1191. Tutte le tappe corrispondono a quelle di Sigeric tranne le due varianti che ho ricordato:

… deinde per Ekepenndante (Acquapendente), deinde per Redcoc (Radicofani), deinde per la Briche (Le Briccole), deinde per San Clerc (San Quirico), deinde per Bon-Cuvent (Buonconvento), deinde per Senes-la-Veille, civitatem episcopalem (Siena), deinde per la Marche Castellum (Rencine), deinde per Seint-Michel Castellum (l’Abbazia di San Michele a Marturi), deinde per Castellum Florentin (Castefiorentino) et per Saint Denis de Bon Repast (San Genesio), deinde per Arle-le-blanc (il fiume Arno) et per Arle-le-nair (l’Arno nero, cioè l’Usciana che allora era impaludata),…”.

Nessun dubbio che, da qui in avanti, sia Poggibonsi, sia Radicofani entrino a far parte a pieno diritto della via Francigena; emerge anche la testimonianza di un nuovo itinerario valdelsano; quello che, da Borgo Marturi a San Genesio (cioè da Poggibonsi all’odierna San Miniato), percorre il fondo valle (passando da Castefiorentino) invece di seguire l’antico tracciato sul crinale occidentale.
Poi, dal XIII secolo, il tratto della Francigena che attraversava la Toscana settentrionale (quello tra Luni e Borgo Marturi, per intendersi), perde drasticamente importanza a favore dell’itinerario che dalla Padania si dirige a Bologna da dove raggiunge Firenze per poi immettersi nella “vecchia” via (quella descritta da Sigeric) all’altezza dell’odierna Poggibonsi.
Solamente il tratto da Siena a Roma, rimarrà praticamente immutato col passare dei secoli.
Nel 1350, il mercante francese Barthelemy Bonis, per recarsi a Roma come atto di ringraziamento per essere scampato alla peste, racconta nel suo diario di avere usato l’antico tracciato della Francigena con una piccola modifica di percorso: da Luni avrebbe infatti raggiunto Pisa e quindi San Miniato dove si sarebbe immesso nella “vecchia” Francigena.
Comunque, nonostante che l’antica via Francigena “sigericiana” non venisse mai del tutto abbandonata, è accertato che a partire dal XIII secolo, a nord di Siena, era il collegamento diretto tra Bologna e Firenze quello che accoglieva la maggior parte del traffico continentale divenendo in breve tempo la principale via di comunicazione tra l’Italia centrale ed il mondo padano. Con il prevalere del nuovo percorso l’importanza della via Francigena e contestualmente quella delle mansioni valdelsane che attraversava, decadde drasticamente. Della antica strada si persero tracce e memorie e solo da poco tempo gli studiosi si stanno interessando alla riscoperta della via che, secondo alcuni, costituisce “l’unico esempio di aggregazione territoriale della Toscana”.
Nella prossima puntata mi occuperò delle influenze sociali e delle testimonianze artistiche lasciate in Toscana dalla via Francigena.
R.M.

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LA VIA FRANCIGENA E LA TOSCANA -1-


Parte Prima - ORIGINI E TERRITORIO

PREMESSA.

Penso che gli Amici del Buon Cammino possano trovare interessanti queste note che ho scritto dopo aver avuto il piacere di assistere ad un incontro-lezione della durata di tre giornate, che la locale Università ha tenuto a Siena nel mese di Novembre.

Il tema affrontato e analizzato dai relatori (professori, docenti e studiosi di storia altomedioevale) era la Via Francigena; un argomento che, assai indirettamente, tocca però anche la Compagnia del Buon Cammino, la quale, nei suoi settimanali itinerari per lungo e per largo il territorio sanminiatese, si trova spessissimo ad incrociare strade bianche, tracce o sentieri che hanno a che fare con la famosissima “strada dei pellegrini” (come venne anche denominata la Francigena a partire dal X secolo).

Ho pertanto deciso di pubblicare, a puntate, quegli appunti, con marcato riferimento ai luoghi in cui la Francigena attraversava la Toscana pensando che tali argomenti, con i loro riferimenti a luoghi, toponimi e località assai ben conosciuti da noi “buoni camminatori”, che spesso, senza saperlo, abbiamo ricalcato, a distanza di oltre un millennio le orme dei nostri avi, possano contribuire ancora di più a farci sentire fieri, fortunati ed onorati a poter godere , in vita, di un territorio così bello, cos’ vario e contemporaneamente così carico di memorie storiche.

ORIGINI

Le prime testimonianze di un tracciato stradale che attraversava la Toscana interna risalgono al VIII secolo laddove Paolo Diacono parla del passaggio di Grimuald attraverso il Monte Bardone (la Cisa) per entrare in Tuscia (Historia Longobardorum). Col passare degli anni le tracce che parlano di questa via si fanno sempre più frequenti, sia nei documenti diplomatici che negli atti notarili ed in seguito anche nelle guide per i pellegrini e nelle memorie di viaggi effettuati. A questo proposito occorre dire che la “via” era, più che una strada, un asse viario con un tracciato vario ma ricostruibile nelle sue linee essenziali. Intendo dire che, coloro che la percorrevano (e inizialmente non si trattava di pellegrini ma piuttosto di mercanti, soldati ed ecclesiastici che si recavano in visita dal Papa) non dovevano necessariamente seguire itinerario segnato, delimitato e certo. La via Francigena era un insieme di sentieri e di passaggi, prevalentemente tracciati in modo da seguire i crinali delle colline ma che permetteva anche leggere digressioni e deviazioni.

L’origine del tracciato, destinato ad acquisire nei secoli, come vedremo, una importanza eccezionale per le località che si trovava ad attraversare, derivava dalla necessità dei Longobardi di collegare il regno di Pavia ai loro ducati meridionali con un itinerario il più possibile al sicuro dalle insidie dei bizantini; in seguito tale itinerario (chiamato via Francigena perché proveniente da nord) divenne (e lo restò per anni) la via privilegiata per chi proveniva da settentrione per raggiungere Roma.

Ma quale era il tracciato della via Francigena in quegli anni? Purtroppo le notizie sono scarse o inesistenti; i pochi viaggiatori che si presero la briga di scrivere una cronaca dei loro viaggi si limitavano perlopiù ad una lista arida e misteriosa di luoghi ricordati per la presenza di un passo, di un guado o di un punto di ristoro.

Occorre arrivare al X secolo e precisamente all’anno 994, quando l’Arcivescovo di Canterbury, Sigeric, di ritorno da Roma, elenca per la prima volta, le località che si trova a passare lungo il suo viaggio: è un elenco preciso e successivo di città, paesi e villaggi che permette, per la prima volta (dopo tre secoli di vita della Francigena) di conoscere il suo tracciato originale. E’ su parte di questo tracciato che spesso, la domenica mattina ci troviamo a percorrere le orme dei nostri coraggiosissimi predecessori.

Per quanto riguarda la Toscana, Sigeric (che impiegò due anni nel suo viaggio da Canterbury a Roma) elenca le seguenti località (qui riportate da nord a sud):

.. Arne Blanca (fiume Arno), Sce Dionisii (San Genesio), Sce Petre Currant (San Pietro a Coiano), Sce Maria Glan (Santa Maria a Chianni), Sce Gemiane (San Giminiano), Sce Martin in Fosse (San Martino ai Foci), Aelse (Pieve a Elsa), Burgenove (Borgonuovo di Badia a Isola), Seocine (Siena), Arbia (Ponte a Arbia), Turreneir (Torrenieri), Sce Quiric (San Quirico), Abricula (Le Briccole), Sce Peitr in Pail (San Pietro in Paglia),…

Questo tracciato rimase pressoché invariato per secoli, ed anche quando, nel XII secolo, emersero altri itinerari diversivi (come quello che passava dal fondo valle della Val d’Elsa invece che dai crinali delle colline, o quello che da Lucca puntava su Firenze e da qui a Siena dove si raccordava con il vecchio tracciato), anche allora fu sempre utilizzato, almeno fino alla fine del XV secolo, quando cadde in disuso e velocemente decadde perdendo ogni importanza che non fosse locale.

Possiamo affermare che, da nord a sud, il tracciato della Francigena era il seguente (a partire dalla città di Losanna, dove potevano giungere viaggiatori da Parigi, da Canterbury e da tutto il Nord Europa):

fra Sion e Saint Maurice traversava il Rodano, quindi, tramite il valico del Gran San Bernardo, superava le Alpi e toccava Aosta. Le tappe successive erano, nell’ordine: Ivrea, Vercelli, Pavia (la capitale del regno Longobardo), Piacenza, Berceto; quindi (attraverso il Monte Bardone, l’attuale Cisa) Luni ed il mar Tirreno.

Da Luni (dove la via entrava in Toscana) ad Acquapendente (dove ne usciva) correva il tracciato della Francigena che più ci interessa e del quale ho buttato giù questo schizzo di massima che servirà per traccia visiva quando mi occuperò, nel prossimo capitolo, dell’itinerario toscano di questo eccezionale mezzo di comunicazione medioevale.

R.M.

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USCITA del 29 Novembre 2009 (Domenica)

L’itinerario, scelto da Maresco Martini, questa volta si è svolto in una zona un po’ insolita, anche se non certo sconosciuta per gli amici della Compagnia. Partenza da Ponte a Egola (dal parcheggio nella zona alta del paese) e, dopo un lungo arco tra le campagne della zona e i boschi intorno a Stibbio, ritorno da dove eravamo partiti.

Una camminata di due orette insomma, che è piaciuta a tutti i numerosi intervenuti (eravamo addirittura in 13 dato che Paolo Martini aveva portato con sé alcuni amici) perché si è svolta quasi interamente nel bosco, al di fuori quindi dalle strade battute, dall’inquinamento e dai rumori.

La giornata è stata buona e la temperatura insolitamente mite.

Subito dopo la partenza, dopo un leggero tratto in salita, ecco un bel panorama verso nord e poi, scenografico, un grande albero di cachi che si stagliava netto contro il cielo.

Dopo essere entrati nel bosco, abbiamo cominciato a salire e, ad un certo punto, alcuni alberi abbattuti dai boscaioli, caduti di traverso al sentiero hanno creato qualche piccolo diversivo di difficoltà per poter proseguire.

Il ritorno si è svolto scendendo nella stretta valle che sottostà a Stibbio e da lì, salendo, siamo tornati alle auto.


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