dal Settembre 1982 sui sentieri della Toscana...

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L'ACCADEMIA DEL SEMOLINO - La Sagra dei Buoni Valori

Inutile discutere: i tartufi sono buoni. D’accordo ci sarà sempre quello che volendo far l’originale a tutti i costi (anzi, a costo zero in questo caso) dirà, la puzza sotto il naso:
“Ma che schifooo! Ma non è possibile! Per un tartufello che saranno pelo pelo 20 grammi mi hanno chiesto (omissis) euri! E’ un indecenza!” E poi proseguirà, in una moderna rivisitazione dell’esopica favola sulla volpe e l’uva: “E poi, non so cosa ci trovano in questi tuberi. Li puoi mangiare solo in pochissimi modi e non vanno d’accordo con un sacco di altre cose. Date retta a me: il tartufo è sopravalutato. E non è nemmeno tanto buono come si va dicendo in giro” e, tutto fiero di sé per la sua sparata, se ne tornerà a casa dove a cena troverà la solita minestra riscaldata.
Non dategli retta: i tartufi sono buoni; che dico buoni: sono ottimi, meravigliosi, eccezionali: un cibo da re. Costano è vero, ma le cose buone hanno un prezzo e soprattutto hanno un valore. E poi se il pregiato tubero non lo assaggi ora che è la stagione me lo sai dire quando lo mangi?
Semmai c’è da dire che, passeggiando per le stradine affollate di novelli buongustai e dando un’occhiata attenta alle bancarelle e agli stand che occupano tutti gli spazi della cittadina medioevale una cosa salta agli occhi: accidenti; se si prescinde dalla innegabile squisitezza di tante leccornìe, bisogna dire che in mostra non c’è niente che faccia bene (alla salute, intendo).
Montagne di dolciumi di ogni forma e dimensione ma tutti a base di miele, mandorle, cioccolata, burro, fichi secchi, noci, panna, strutto, burro e uova a volontà (sai il colesterolo); insaccati di ogni provenienza e di ogni tipo ma tutti composti con cotenne, sangue, fegatelli, budellini, grifi, cartilagini, grassellini, ciccioli di maiale e tutti conditi con pepe, peperoncini, sale, aromi e spezie le più aromatiche (e piccanti) che ci siano.
Ma noi, poveri cristi che dobbiamo fare i conti tutti i giorni con le diete, le mille attenzioni, i diecimila sacrifici, un occhio al calendario (gli anni che passano) e uno alle rituali analisi ematiche che, ad intervalli ripetuti ritmicamente, evidenziano l’assoluta cura che dobbiamo avere per i colesteroli (ce ne sono di diversi tipi..), per la glicemia, e le piastrine, e i globuli bianchi, e quelli rossi, e la VES, e tutto un universo di segnalazioni allarmanti che fanno dichiarare a tutti i medici con i quali, malvolenti, veniamo in contatto: “Niente grassi! Niente sale! Occhio allo zucchero! Lontano dalle uova… dal fritto… dal sugo… dagli insaccati.. dai cibi piccanti… (ecc. ecc.).
Allora come fare? Suggerirei (lungi da me l’idea di abolire la sacra Sagra Tartufesca) di indire, a breve distanza da questa, una piccola sagra (una sagrina) per quelli che non possono abbuffarsi delle prelibatezze colà mostrate.. che so.. una cosa come.. insomma io la chiamerei: la Sagra dei Buoni Valori (ematici, intendo). In questa manifestazione sarebbero in mostra e in vendita solo cose che contribuiscono a mantenere i valori della analisi nella norma. Banchi con erbe officinali adatte per ogni patologìa, vendita di patate bollite e di puré, cene a base di minestrine vegetali e pollo lesso e tanta frutta e verdura (biologica) di ogni tipo. Da bere? Latte scremato, bevande analcoliche o (per i fondamentalisti)  acqua di fonte. Dessert: mele cotte (per chi le vuole: prugne; sempre cotte ovviamente).
Si dirà: una Sagra come questa non interesserebbe nessuno. Alto là: dipende dalla pubblicità. Con una buona pubblicità anche la Sagra dei Buoni Valori potrebbe diventare mèta di importanti flussi turistici e sarebbe occasione di guadagno per gli espositori ed i commercianti dell’antica città di San Miniato e occasione di salute per gli organi (fegati, pancreas, milze, cuori ed intestini) dei degustatori. (Per chi voglia saperne di più, consiglio la lettura di questo POST pubblicato a Settembre sul blog).  
Così la penso e così la scrivo.
RM

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L'ACCADEMIA DEL SEMOLINO - La Sagra del Tartufo (Unplugged and Remix)

Piove anche oggi (come aveva fatto ieri per tutto il giorno) e anche se non fa freddo sai che gusto ad andar per assaggi con l’ombrello in mano in mezzo a tutti gli altri ombrelli (micidiali con i loro proditori sgocciolii fra collo e colletto) e con i piedi umidi e freddi marmati? Venire, la gente ci è venuta, alla Sagra, ma non è andata come doveva andare. Che vuoi, col solicello (anche se non riscalda, anche se è autunno) sarebbe stata tutta un’altra cosa ma così è andata e così va presa: la Sagra del Tartufo è stata un mezzo flop.
Attenzione: gli organizzatori non c’entrano un bel niente, e niente c’entrano gli espositori, o i bottegai o tutti quelli che si sono dati da fare alla meglio per mettere in piedi una manifestazione ricca di eventi e di occasioni; anzi, quest’anno la festa mi è sembrata (o almeno penso che sarebbe stata) più articolata, più varia, più completa, solo… la pioggia. La pioggia, quella, non era stata considerata così persistente, invadente, scostante, deterrente, infinita.
Così, la maggior parte di coloro che erano ascesi, eccitatissimi, all’antico colle al Tedesco, ansiosi di metter alla prova almeno per una volta il loro tasso di colesterolo (sai, con tartufi, cioccolate, finocchione, soppressate, salami di tutti i tipi e poi pecorini di fossa o di vento, lardi di Colonnata, mallegati alla maniera antica, torroni sardi e salsicciòli grassi o stagionati il gusto va a nozze ma con i valori ematici come la mettiamo?) si sono ritrovati alla fine a tornar veloci e fradici alle macchine stringendo stretto (nella mano non occupata dall’ombrello) il sacchettino con i piccoli ricordi della Sagra dimezzata: i soliti cantucci di Federico, due etti di finocchiona e, piccolissimo, rinvoltolato in un fazzolettino di carta bianca che pesa più di lui, il tartufino di rappresentanza, storto, gobbetto e tutto striminzito che pare chiedere solo di poter essere lasciato in pace, in mezzo a tutto quel trambusto, oppure che lo si gratti subito sui tagliolini d’ordinanza, e non ci si pensi più.

Che dire? C’è ancora una possibilità: l’Ultima Possibilità. Insomma; domenica prossima non pioverà, non può piovere; lo dice il calcolo delle probabilità, lo dicono le previsioni meteo, lo reclama la giustizia e lo invocano torme di commercianti, espositori, venditori e amministratori comunali che vedono in questo ultimo giorno di Sagra l’occasione del loro riscatto. E poi lo dice anche una profetica canzone che recita, speranzosa: “Le gocce cadono ma che fa – se ci bagnamo un po’ – domani il sole ci riscalderà” e prosegue, fiduciosa: “Non t’arrabbiar, perché la vita – non è finita per chi crede nel doman” ecc. ecc. Ecco: noi crediamo nel domani (anzi, in domenica prossima) e per questo diciamo: “Domenica tutti a San Miniato! Ai tartufi! Ai tartufi!”.

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L'ACCADEMIA DEL SEMOLINO - Elogio dell'ozio (se piove)

Certo che è difficile anche per aficionados come noi trovar la voglia d’alzarsi alle 7 di mattina di una domenica autunn(invern)ale per potersi presentare in tempo, con questo tempo da lupi, all’appuntamento nel piazzale dell’ex-liceo.
Il cielo è grigio uniforme, decisamente teso alla generale incavolatura. Cade qualche goccia che picchietta di scuro l’asfalto a ribadire che non ci si azzardi a tentar di intraprendere la classica salutistica camminata, ché catinellate d’acqua gelata sono lassù, schierate e determinate, pronte per noi, per farci rimpiangere d’aver voluto lasciare troppo presto, a dispetto del calendario e di ogni pessimistica previsione meteo, il calduccio dell’ amico materasso.
Siamo già alzati, però. E allora che si fa? Mentre ci si pensa su il cielo ci dà una mano per aiutarci a decidere a modo: una scarica furiosa di goccioloni grossi come panini e insistenti come lavavetri semaforari ci preannuncia cosa ci succederebbe se, incauti, cercassimo di fare i coraggiosi e, ignorando gli avvertimenti del fato, ci buttassimo allo sbaraglio per i terrosi (ora ipermotosi) declivi che scendono lievi dietro Collegalli.
Beh, alzati ci siamo alzati e a letto, è chiaro, non si torna (dopo essersi già lavati, vestiti ecc.).
Allora si va a prendere il giornale e poi si cerca di leggerlo lentamente, centellinandolo, non perché ci siano notizie particolarmente interessanti (sempre le stesse cose: mafiosi catturati, dichiarazioni di politici, terremoti, attentati, la benzina che rincara e le ultime notizie del GF: sai che spasso!), ma solo per tirar tardi e far passare le lunghe ore che contrassegnano questa piovosa mattinata domenicale il più in fretta che sia possibile.
Poi, fatta colazione come Dio comanda, si potrà onorare la Domenica recandoci alla Messa, e poi si può sempre navigare un po’ su internet, e poi qualche telefonata… insomma qualche santo ci aiuterà a far passare il tempo fino all’ora di pranzo.
Dopo, Alleluia!, un pomeriggio popolato di partite e granpremi ci aspetta ad esaltare la nostra fannullaggine con ore ed ore di sport in poltrona.
E la Compagnia del Buon Cammino? Calma, calma. Verranno mattinate popolate di cinguettii e raggi solari appena sbocciati di dietro la collina; verranno fresche ma soleggiate albe piene incitanti al pesticcìo sportivo; che si aspettino tempi migliori, diamine!
Per adesso: agli ozi, agli ozi!

 R.M.

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L'ACCADEMIA DEL SEMOLINO - Fobìe

Da un certo tempo (da quando cioè sono divenuti d’uso comune) si odono e si leggono sempre più spesso i termini “omofobìa” (e il relativo aggettivo “omofobo”) e “xenofobìa” (e “xenòfobo”) riferiti a certi atteggiamenti considerati intolleranti verso (rispettivamente) gli omosessuali e gli stranieri.
Restando fuori di dubbio che tali manifestazioni di razzismo debbano essere severamente riprovate occorre però notare (e mi dispiace per i media che per primi li hanno inventati, diffusi e continuano a farne uso) come tali termini siano fuorvianti oltre che etimologicamente errati.
Ricordiamo che in entrambe le parole (derivanti dal greco antico) la seconda parte è  “fobìa”, dal greco “phobos” = “paura immotivata, cieca e irragionevole”. E’ pertinente alla etimologia quindi parlare di “agorafobìa” = “paura degli spazi aperti”; “claustrofobìa” = “paura degli spazi chiusi o ristretti”; “aracnofobìa” = “paura dei ragni” e così via.
Il termine omofobìa usato per indicare “odio verso gli omosessuali” è invece completamente errato, stravolto e, addirittura fuorviante rispetto a ciò che gli si vuol far significare dato che il suo significato etimologico è esattamente l’opposto.
“Omo” deriva infatti dal greco “homos” = “simile, uguale” (opposto a “heteros” = “diverso”) e la parola “omosessuale” si attaglia a pennello per colui che fa sesso con i propri simili a distinguerlo dagli eterosessuali che lo fanno con chi è loro diverso (e quindi gli uomini con le donne, e le donne con gli uomini).
Ne discende che il vero significato della parola “omofobìa” è quello di “paura immotivata, cieca e irragionevole nei confronti di coloro che sono del nostro stesso sesso” anziché di “odio per gli omosessuali (!)” e “omofobo” non vuol dire affatto “colui che discrimina o odia gli omosessuali” ma “colui che teme i suoi simili”. Come si vede il significato corrente è pressoché il contrario di quello etimologico e viene assolutamente usato a sproposito.
Una parola quindi che abbia il significato che si usa dare a sproposito alla parola omofobia o all’aggettivo omofobo, non esiste. Da qui l’interrogativo: come definire chi discrimina (odia, ridiciolizza, disprezza ecc. ecc) gli omosessuali?
Attendo una risposta convincente e al passo con la mutata sensibilità sul problema. Ai miei tempi, quando i “finocchi” (si chiamavano così, allora, e nessuno se la prendeva) non avevano ancora rivendicato l’orgoglio di esserlo, c’era nalla mia città un giovanottone, chiamato il Mela. Il Mela era famoso per essere un noto “bruciabu’i”. Tale appellativo (di cui andava gloriosamente fiero) se lo era guadagnato sul campo (per dire..) dei cinema della città dove il nostro passava tutti i pomeriggi della sua poco indaffarata giovinezza. Il Mela, entrava nella sala a film iniziato e, adocchiato subito il tipo adatto (lo riconosceva a distanza, anche al buio), andava a sedersi in una poltroncina adiacente a quella della sua prossima vittima. Noi, seduti tre o quattro file dietro, attendevamo i prevedibili sviluppi della faccenda.
Il Mela accendeva una sigaretta, poi si spaparanzava sulla poltroncina, bello comodo e a gambe allargate. Beh, si può indovinare come andasse inevitabilmente finire. Quando il tipo (appellato sinteticamente “il bu’o”) tentava l’inevitabile “avance”, veloce come il fulmine il Mela gli spengeva la sigaretta nel dorso della mano. Un urlo, poi un velocissimo fuggir dalla sala del malcapitato “finocchio” ancora inconsapevole, a quei tempi, dell’orgoglio di esser tale.
Beh gli anni sono passati e indietro (fortunatamente) non si torna; solo, ad esser esatti, è più giusto dire “bruciabu’o” che “omofobo” anche se il significato corrente, se non etimologico, è lo stesso.
E qui, nella speranza di non aver scandalizzato nessuno, la chiudo.

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USCITA del 7 Novembre 2010 (Domenica)

"Dicono che pioverà, d'accordo, ma per ora sembra che sia proprio una bella giornata. E chi me lo fa fà di stare a letto?" questo interrogativo se lo sono posto velocemente, prima di decidersi a presentarsi all'appuntamento delle 8, i cinque che hanno dato vita alla classica passeggiata domenicale della Compagnia del Buon Cammino.
Chi erano? Dunque, vediamo: io, Alberto Chimenti, il Professor Caciagli, il Brotini e il buon Giancanio.
L'itinerario l'abbiamo scelto breve (Alberto doveva essere di ritorno per le 10) ma la camminata è stata bella, panoramica e corroborante. Giancanio ha persino trovato il tempo per assaggiare qualche acino d'uva, cercato, trovato e prelevato tra i pochi rimasti nelle vigne dopo la vendemmia, certificando così l'ottima qualità del frutto e quella prevedibile del vino. Il giro è stato quantomai classico: lasciate le auto alla Borghigiana siamo saliti a Cusignano e da qui, scendendo con ampia curva su Cafaggio, siamo tornati, costeggiando i poderi dei Bellesi ed il Volpaio, al punto di partenza.

Il tempo impiegato? Poco meno di 2 ore. I frutti della nostra fatica? Oltre ai grappoli di Giancanio (che però nessuno ha visto), alcune noci fortemente volute, cercate e raccolte da Alberto con la fattiva collaborazione del Caciagli. La mattinata non era trascorsa invano.

Nelle foto alcune scene dell'escursione (notevole la prima, quella con i tre caballeros). La raccolta completa, come sempre, sul link indicato.















R.M.

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