dal Settembre 1982 sui sentieri della Toscana...

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LA VIA FRANCIGENA E LA TOSCANA -4-

Parte Quarta - TOPONOMASTICA E STORIA

Innanzitutto meglio sgombrare subito il campo da idee sbagliate: la Via Francigena non era “solo” una strada, non era “solo” il mezzo più comodo e veloce per raggiungere il centro dell’Italia e Roma “caput mundi” per coloro che provenivano da Nord; la tradizione cristiana faceva della strada il simbolo stesso della vita umana. Come il cristiano percorre gli anni della sua vita alla ricerca del volto del Redentore che gli si dispiegherà appieno solo dopo la morte, così il pellegrino nel suo cammino percorreva la strada (andando incontro, consapevolmente, ai mille pericoli che il viaggio celava) come una espiazione, fino al raggiungimento della meta finale che coincideva con l’acquisizione della Grazia.

Se per i credenti il viaggio era un mezzo per avvicinarsi a Dio, la storia di una strada significa anche la somma delle mille storie dei suoi gestori e dei suoi utenti. Storia dei padroni delle zone che la strada attraversava, storia dei gestori delle strutture (gli ospizi, le mansioni, i ponti), storia dei viandanti che potevano essere persone di ogni genere: mercanti, frati, “clerici vagantes”, emarginati, soldati, magari crociati ma tutti accumunati in una categoria specifica che li rappresentava: i pellegrini.

I “romei” erano la categoria di gran lunga più rappresentata coloro che percorrevano la Via Francigena; diretti a Roma, la città “Caput mundi”, l’antica sede dell’Apostolo Pietro, vi si recavano a venerare la celebre reliquia della “Veronica” con la sua “vera” immagine del volto di Gesù che nell’alto Medio Evo e dopo l’anno Mille attraeva, dispensando grazie miracolose, genti da ogni parte del mondo conosciuto. Dante ne parla nella sua Vita Nova e, qualche decennio dopo anche il Petrarca cita questa categoria di pellegrini. Occorre ricordare che la reliquia della Veronica, riconosciuta successivamente come un’antica icona bizantina, era creduta, all’epoca, come l’autentico velo con cui la pia donna asciugò il volto di Cristo diretto al Calvario. Naturalmente i romei non erano i soli pellegrini a percorrere la Via Francigena. Sul suo asse viario si incrociavano i romei diretti a Roma (e in Terra Santa) con quelli che la percorrevano in senso inverso tornando ai rispettivi paesi di origine; e c’era anche un'altra tipologia di pellegrini che usavano la Francigena: i pellegrini delle terre del meridione diretti al Santuario di San Jacopo di Compostella i quali andavano da Roma a Luni dal cui porto si imbarcavano per la Galizia.

Dal 1300 (anno del primo Anno Santo) i pellegrini diretti a Roma aumentarono in modo sostanziale e così quelli diretti in Terra Santa: il loro numero produsse la nascita di una enorme quantità (se rapportata a quella degli altri territori) di santuari, abbazie, ospedali, ospizi e, conseguentemente, di villaggi, paesi e nuclei abitativi la maggior parte dei quali ricordavano, nel loro nome, il tema del viaggio, dell’ospitalità e delle strutture viarie.

Ecco quindi come anche la toponomastica aiuti a stabilire il percorso della Via Francigena quando esso risulta confuso o non documentato; toponimi come “Camminata”, “Crocetta”, “Voltole”, “Strada” (dal latino “via strata”) e simili servono come e più degli scarsi documenti per indicare il percorso della via. In altri casi i nomi sono legati alle strutture che si incontravano sulla percorso, come: “Spedale”, “Magione”, Taverna”, “Bettola”, “Buonriposo” e simili. Importanti sono le dedicazioni delle chiese che si trovavano lungo la Francigena, spesso richiamanti il Santo Sepolcro (la meta ideale del pellegrino) e le Terre Sante. Ecco quindi le chiese di Santa Maria a Bellèm (richiamo a Betlemme), San Jacopo (richiamo a Compostella) e tutte le chiese dedicate ai Santi estranei alla storia italica ma tipici della cristianità gallica come San Quintino, Sant’Ilario, San Remigio, San Marziale, San Nazario e San Genesio (da Saint Denis) oltre a quelli protettori dei viandanti come San Pellegrino e San Giuliano.

La strada che si snodava lungo la Toscana tagliandola quasi a metà con una direttrice nord-est/sud-ovest aveva, tutto sommato, una sua unità.

Anzi, si può affermare che è stata, storicamente, proprio la Via Francigena a conferire una qualche unità ad una regione (chiamata “Tuscia” fino al X secolo, “Tuscana”, successivamente) che non l’aveva mai avuta fino ad allora e non l’avrebbe avuta nemmeno più tardi. Anzi se pensiamo all’antica struttura autonoma delle “poleis” etrusche alla quale Roma non si sostituì mai completamente, e successivamente alla frammentazione longobarda, quindi alla polverizzazione territoriale della “marca franca” ed infine alle lotte interminabili delle città comunali, rivolte l’una contro l’altra, si può affermare che la Toscana una vera unità non l’ha mai avuta (e non l’ha mai desiderata). Anche dal XIV secolo, quando Firenze comincia ad affermarsi con una egemonia regionale, e successivamente quando tenta di ridefinire geostoricamente la regione stessa, l’unità resta una pia intenzione. Nemmeno il granducato dei Medici – diviso nei due ducati fiorentino e senese, originati dalla storica frattura fra una Toscana centrosettentrionale ed una meridionale – riuscì a conferire unità alla regione per cui, l’unico elemento storicamente unitario e unificante risulta essere proprio quella strada che collegava Lucca, “seggio di marchese”, con Siena “figlia della strada”.

RM

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