dal Settembre 1982 sui sentieri della Toscana...

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L'ACCADEMIA DEL SEMOLINO - Assolutamente ni.

E’ da tempo invalso il pessimo uso, sia da parte delle persone più giovani, sia da parte di quelle che anelano a dimostrarsi tali, di non limitarsi più ai semplici “si” o “no” per affermare o negare una circostanza o per rispondere alle domande anche le più semplici e dirette.
Ora i due piccoli, semplici, storici avverbi, vengono fatti precedere, e sempre a sproposito, dal pomposo, inutile e fuorviante: “assolutamente”.
Si sente sempre più spesso rispondere: “Assolutamente sì” o “Assolutamente no” a domande quanto mai banali e semplici che non meriterebbero una replica così decisa ed entusiasta ma si accontenterebbero ( e non sarebbe poco) della semplice verità.
“Verrai domani alla partita?” si chiede all’amico che, senza darti nemmeno il tempo di rifiatare replica deciso e risoluto: “Assolutamente sì”. E non viene.
“E’ lei Domenico Crosarulli, nato a Peretola, il 10 Agosto 1870?” chiede il giudice all’imputato. “Assolutamente sì”, è la risposta a significare che non solo lo è, ma lo è anche di più.
“Vuoi tu, Alberto Mauti, sposare la qui presente Ada Dondini?” chiede il prete che officia il santo rito del matrimonio. “Assolutamente sì”, rischia di sentirsi rispondere il prelato (figuriamoci: assolutamente sì.. Se ne riparla tra trent’anni).
Non si capisce perché i semplici “sì e no” non dovrebbero essere sufficienti (e spesso più che sufficienti) a stabilire la verità delle cose; io, per mio conto, ho la strana impressione che questo “assolutamente” serva in verità come autoconvincimento per chi lo pronuncia. Insomma, poiché lui stesso non è tanto certo della risposta, ci mette davanti un bel “assolutamente” e si può così convincere di aver risposto il vero. “Ma siamo sicuri che non l’hanno fatta in Cina?” ho chiesto ieri al venditore ambulante che mi proponeva una borsa Luis Vuitton per  10 euro. “Assolutamente no” è stata la decisa risposta. Non ci crederete ma, nonostante la perentorietà di quel “assolutamente”, ho pensato che cercasse di fregarmi.
Ma da dove viene questo “Assolutamente” così inutile ma così usato?
L’avverbio dovrebbe eliminare ogni dubbio sulla risposta e quindi troncare ogni discussione; il suo uso nasce forse dalla necessità dialettica di abbandonare definitivamente l’uso di costruire le frasi in modo troppo elaborato e barocco così come si faceva nel secolo scorso.
Ricordo una volta che un imputato, messo alle strette da un Pubblico Ministero che gli chiedeva se era stato lui a commettere un certo reato, dopo un mese di udienze e di rinvii, stremato rispose: “Non mentirei se non negassi di non aver commesso il fatto ma non lo farò: è vero proprio il contrario. E ora basta. Non aggiungerò più una parola”. Silenzio in aula. Tutti si guardano sgomenti; avvocati, testimoni, giudice e pubblico: “Che ha detto?”. Dopo un’ora la seduta viene aggiornata. Il giorno dopo il giornale A titola “Il reo confessa: è lui il colpevole” mentre il giornale B (della parte politica avversa a quella di A) strilla in prima pagina: “L’imputato proclama la propria innocenza!”.
Oggi invece con “Assolutamente” si vuol dare l’impressione di essere stracerti di una cosa ma si rischia di usare l’inutile avverbio a sproposito; messa alle strette una mia amica alla quale chiedevo da mesi un rendez-vous, incertissima su quale decisione prendere rispose: “Ci penserò. Penso che probabilmente accetterò anche se non potrei affermare di volerlo assicurare al cento per cento. Vorrei e non vorrei, chi lo può dire? E poi potrei cambiare idea all’ultimo momento, chissà?”. La misi alle strette: “Dimmelo. Dimmi se stasera verrai all’appuntamento. Verrai o non verrai?”. Ero esasperato. Lei si schernì, come solo le donne sanno fare, poi, vedendomi deciso ad avere finalmente una risposta, per dimostrare come fosse decisa nella sua indecisione rispose: “Assolutamente forse”.

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L'ACCADEMIA DEL SEMOLINO - Dell'importanza di una ricca dialettica -

Come primo intervento l'Accademia del Semolino si occupa oggi di una abitudine nel conversare che è divenuta d'uso comune da qualche tempo a questa parte; un'abitudine metalinguistica la cui origine antropologica è fatta risalire all'avvento dei nuovi mezzi multimediali di comunicazione.
Si parla qui dell'inopinata povertà di linguaggio che si sta facendo strada tra i nostri giovani. Non solo si rivolgono a chiunque con il "tu" (e passi), non solo si scambiano messaggini incomprensibili a chiunque abbia meno di 15 anni (e passi), ma hanno perso qualunque garbo nell'esprimere i loro pensieri e le loro idee, limitandosi, il più delle volte ad andare direttamente "al sodo" (come si dice), senza giri di parole, allusioni o circonlocuzioni varie che possano predisporre l'interlocutore ad accogliere favorevolmente le loro richieste (perché sempre di richieste, si tratta).
Attenzione giovani; studiate l'italiano e imparate, per poi applicarla a vostro profitto, l'educazione. Salutate quindi cortesemente colui al quale vi rivolgete, togliendovi, se lo portate, il cappello e tenendo nel parlare un contegno rispettoso e lo sguardo basso. Che la vostra prosa sia ricca senza essere ampollosa; che non sia irruenta, che dimostri rispetto per l'italiano e riguardo per colui (o colei) che dovrà accogliere la vostra richiesta e che, sempre e comunque, sia ricca di dettagli e particolarità tali da far addirittura invogliare, il vostro interlocutore, a venirvi incontro. 
Non fate come il mio vecchio amico  e coetaneo, il compianto Mauti Alfiero, detto, per le poche parole che proferiva e per la sua proverbiale attitudine ad andare sempre e comunque, direttamente all'essenziale e  al cuore del problema: "Lo Spiccio".
Ricordo una volta che (avevamo entrambi poco meno di vent'anni) io e lo Spiccio andammo a ballare.
La sala era gremita di ragazze che, a capo basso ma assai vigili, stavano sedute ai bordi in attesa che qualche coraggioso si degnasse di andare (come si diceva) "ad impegnarle".
Lo Spiccio si mette al centro della sala, adocchia quella che gli sembra la più sveglia (Alfani Mara, nota mutanda-facile), le chiede di ballare e, non avranno fatto quattro passi di tango, gli spara: "Allora: me la dai o non me la dai?" "Sì - gli rispose subito Mara -Ma dove andiamo: a casa mia, a casa tua o dietro la siepe?". Lo Spiccio si staccò immediatamente: "Senti - le fece - se devi fare tutte queste storie è meglio che non se ne fa di niente". E uscì dalla sala.

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USCITA del 11 Luglio 2010 (Domenica), ovvero "La grande morìa".


Sarà stato il gran caldo, sarà che molti sono partiti per le meritate (?) vacanze, sarà per questo o sarà per quello, fatto sta che stamani, al piazzale dell' ex-Liceo, all'ora pattuita c'ero solo io e il Prof. Caciagli.
Ci siamo guardati intorno, abbiamo studiato l'orologio.. niente. Nessuna macchina, nessuna persona, niente di niente, insomma (escluso noi due, ovviamente).
Che si fa? Qualche secondo di titubanza poi: "Si va noi!".
E così due coraggiosi, incuranti del gran caldo che si stava profilando ed immemori di quanti quel giorno avevano preferito alla classica camminata chissà quali mete scontate (come ad esempio quella che consiste nello stare sdraiati sotto l'ombrellone osservando -senza dare nell'occhio- sciami di meravigliose e giovanissime bagnanti seminude mentre si aspetta l'ora di fare il bagno) decisero all'unanimità (2 voti su 2) di non interrompere la storia della Compagnia, onore e vanto della città del Barbarossa, e si incamminarono in una camminata che, seppur breve (e calda), salvò l'onore della storica congrega.
Ad onore e vanto di quei prodi e della loro sudata fatica e a sempiterno scorno degli assenti ingiustificati (caso mai ce ne fossero stati), questo blog ricorderà ai posteri la loro abnegazione ed il loro sacrificio.




Nella foto: I coraggiosi.

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USCITA del 4 Luglio 2010 (Domenica)


Eravamo in 12 questa volta all'appuntamento. Stante la perdurante assenza del Martini, per una volta abbiamo seguito l'indicazione di Giancanio che ha proposto una passeggiata intorno a San Miniato. 
Siamo partiti a piedi dal piazzale del Liceo e dopo esser scesi in valle siamo risaliti fino ad incontrare la strada che va a Calenzano. AD un certo punto siamo scesi sulla sinistra finoad incontrare la strada (incompiuta) che da La Scala ci ha permesso di risalire il colle di San Miniato fino a sbucare nei pressi del parcheggio dell'Ospedale. Siamo quindi scesi nella valle a meridione della cittadina fino a quando non siamo risaliti per una salita ripidissima che ci ha portati sotto l'edificio del Comune.
A questo punto, mentre molti hanno approfittato di essere nei pressi del centro storico di San Miniato per fare una rapida visita alla località, io, Alberto Chimenti e Anna Braschi abbiamo ripercorso quel passaggio, che si spera possa presto diventare un vero e proprio itinerario turistico, che è stato ricavato dalle antiche vie carbonaie a sud del paese (specificatamente dalla Piazzetta del Comune fin a poco sopra la piazzetta comunale di Via Roma). IL passaggio è ancora percorribile ma occorre che presto qualcuno intervenga per ripulirlo, adattarlo ad una visita generalizzata e a metterlo in sicurezza.

Alle 11 siamo quindi tornati a prendere le auto; la passeggiata era finita.

Nelle foto:

1- Una veduta panoramica dai pressi di Calenzano.


2- Un gruppo ridotto di partecipanti

(altre foto più definite, come sempre, nel sito di 4Shared con l'indicazione BC2010-07-04).

Saluti

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