dal Settembre 1982 sui sentieri della Toscana...

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LA VIA FRANCIGENA E LA TOSCANA -2-

Parte Seconda - SPLENDORE E DECADENZA

Come abbiamo visto si deve a Sigeric, l’intrepido Arcivescovo di Canterbury, la prima descrizione completa del tracciato della via Francigena. Correva l’anno 994 e benché l’importante strada per Roma fosse fin dal VIII secolo l’accesso più battuto da coloro che, proveniendo da Nord, volevano raggiungere la città “caput mundi”, nessuno si era impegnato a descrivere dettagliatamente quell’itinerario. Come abbiamo visto dalla cronaca di Sigeric, la via (se di via si può parlare essendo la Francigena piuttosto un reticolo di strade bianche, sentieri e tratturi), verteva su poche città e su alcune località (dette “mansioni”) che costituivano il cardine della via stessa. Grande importanza (oltre alle città regine della Francigena toscana: Lucca e Siena – quest’ultima addirittura denominata nelle cronache: “figlia della strada”) era riposta in alcuni centri che, benché oggi decaduti, declassati o addirittura scomparsi (come la fantomatica mansione di San Pietro in Paglia), godevano allora di grande importanza e prosperità. Mi riferisco a San Genesio, ("hospitioque bonus", il borgo che fu distrutto dai sanminiatesi nel 1248), a Santa Maria in Chianni, a Coiano e a San Gimignano. Dall’itinerario di Sigeric si può notare che il percorso originale della Francigena ignorava il fondo valle dell’Elsa, spesso impercorribile nei mesi invernali per gli impaludamenti e le alluvioni, privilegiando invece, anche per una questione di sicurezza, i crinali delle colline che susseguono ad ovest del fiume.
Chi percorreva la Francigena doveva raggiungere un luogo di asilo o comunque un ricovero sicuro entro il calar del sole e questo produsse la nascita di zone di accoglienza (locande, spedali, canoniche e addirittura Abbazie) distanti l’una dall’altra un numero di miglia (da 7 a 12 a seconda la difficoltà delle condizioni del tracciato) equivalente a quello che un viandante poteva presumibilmente superare in una giornata di cammino. Alcuni centri che oggi consideriamo tra le località più importanti del tratto che va da Lucca a Siena ed oltre, erano evitati dalla grande via medioevale che, oltre ad ignorare Firenze, non transitava da alcuni grossi borghi come Certaldo, Castefiorentino e Poggibonsi che pure erano già costituiti e rinomati da tempo.
La via Francigena (che dopo la sua utilizzo sempre più massiccio da parte dei pellegrini diretti a Roma, fu anche chiamata “Romea”) contribuì in maniera cruciale a creare egemonie e a determinare la predominanza di castelli, paesi e liberi comuni rispetto ad altre località, distanti dalla sua direttrice principale, che si trovarono ad essere esclusi dai commerci indotti dalla grande strada. Presso le mansioni si costituivano comunità, nascevano aggregazioni di persone e di commercianti. Fino a tutto il XI secolo fu tutto un fiorire di attività che interessarono tutti i luoghi che si trovavano ad essere lungo la Francigena o nelle immediate vicinanze della strada. Furono istituite guarnigioni permanenti di soldati a tutela dei viaggiatori e i potenti e ricchissimi ordini monastici dell’epoca privilegiarono i loro insediamenti lungo quell’importante direttrice viaria. Quest’ultimo aspetto va fatto risalire ai Longobardi e alla loro “politica delle comunicazioni” che promuoveva la fondazione di monasteri per creare un sistema di strutture funzionali alla strada. Ecco quindi l’eccezionale frequenza di grandi abbazie (le “Abbazie Regie”) lungo la Francigena e nei suoi immediati dintorni come San Michele a Marturi (Poggibonsi), San Pietro d’Asso (vicino a Torrenieri), Sant’Ansano a Dofana e Sant’Eugenio (presso Siena), San Salvatore (Abbadia San Salvatore) e Badia a Isola.
Fa meraviglia il fatto che, dopo la cronaca di Sigeric, occorra attendere fino all’anno 1154 (ben 160 anni dopo) per avere un’altra descrizione del tracciato della via.
Questa volta fu un abate, Nicola di Munkthvera, che, partendo dal monastero di Thingor (in Islanda!!), intraprese un lunghissimo viaggio (se penso alle presumibili condizioni di viaggio di quegli anni deve essere stata una vera epopea) durante il quale dapprima sbarcò a Bergen (in Norvegia), poi, traversando la Danimarca, la Germania e la Svizzera giunse in Italia dove si immise nella Via Francigena seguendo un percorso che ricalcava (ma non esattamente) quello descritto da Sigeric.
L’abate Nicola scrisse le sue memorie di viaggio in un norvegese arcaico che solo da poco è stato possibile interpretare; descrivendo le località da lui incontrate dopo l’attraversamento dell’Arno, dice:

.. poi viene Sanctinus Borg (San Genesio); poi viene Martinus Borg (Borgo Marturi = Poggibonsi). Poi viene Semunt (Monte Maggio); poi viene Langa Syn (Siena). Dopo 3 giorni di cammino viene Klerkaborg (San Quirico d’Orcia), poi Hanganda Borg (Acquapendente); poi si va sulla montagna Clemunt (Radicofani). Il territorio da qui fino all’Appennino Ligure si chiama Ruscia (Tuscia = Toscana).

Nonostante si tratti di un resoconto assai sintetico, ecco che, per la prima volta, compare una variante al classico, antico percorso di Sigeric. Del resto anche da altre fonti emergeva la crescente importanza della località di Borgo Marturi (Poggibonsi) oltre a quella di Radicofani (a discapito dello scomparso San Pietro in Paglia) evidenziando nella Val d’Elsa uno spostamento verso il fondo valle del tracciato della Francigena. Pochi anni dopo (nel 1204) anche il vescovo patriarca di Aquileia, Wolfger, per recarsi a Roma narra di essere passato dalla mansione di Marthirburch (Borgo Marturi).
Queste modifiche di percorso emergono inequivocabilmente anche dalla descrizione del viaggio di ritorno dalla Terza Crociata del re di Francia, Filippo Augusto, avvenuto nel 1191. Tutte le tappe corrispondono a quelle di Sigeric tranne le due varianti che ho ricordato:

… deinde per Ekepenndante (Acquapendente), deinde per Redcoc (Radicofani), deinde per la Briche (Le Briccole), deinde per San Clerc (San Quirico), deinde per Bon-Cuvent (Buonconvento), deinde per Senes-la-Veille, civitatem episcopalem (Siena), deinde per la Marche Castellum (Rencine), deinde per Seint-Michel Castellum (l’Abbazia di San Michele a Marturi), deinde per Castellum Florentin (Castefiorentino) et per Saint Denis de Bon Repast (San Genesio), deinde per Arle-le-blanc (il fiume Arno) et per Arle-le-nair (l’Arno nero, cioè l’Usciana che allora era impaludata),…”.

Nessun dubbio che, da qui in avanti, sia Poggibonsi, sia Radicofani entrino a far parte a pieno diritto della via Francigena; emerge anche la testimonianza di un nuovo itinerario valdelsano; quello che, da Borgo Marturi a San Genesio (cioè da Poggibonsi all’odierna San Miniato), percorre il fondo valle (passando da Castefiorentino) invece di seguire l’antico tracciato sul crinale occidentale.
Poi, dal XIII secolo, il tratto della Francigena che attraversava la Toscana settentrionale (quello tra Luni e Borgo Marturi, per intendersi), perde drasticamente importanza a favore dell’itinerario che dalla Padania si dirige a Bologna da dove raggiunge Firenze per poi immettersi nella “vecchia” via (quella descritta da Sigeric) all’altezza dell’odierna Poggibonsi.
Solamente il tratto da Siena a Roma, rimarrà praticamente immutato col passare dei secoli.
Nel 1350, il mercante francese Barthelemy Bonis, per recarsi a Roma come atto di ringraziamento per essere scampato alla peste, racconta nel suo diario di avere usato l’antico tracciato della Francigena con una piccola modifica di percorso: da Luni avrebbe infatti raggiunto Pisa e quindi San Miniato dove si sarebbe immesso nella “vecchia” Francigena.
Comunque, nonostante che l’antica via Francigena “sigericiana” non venisse mai del tutto abbandonata, è accertato che a partire dal XIII secolo, a nord di Siena, era il collegamento diretto tra Bologna e Firenze quello che accoglieva la maggior parte del traffico continentale divenendo in breve tempo la principale via di comunicazione tra l’Italia centrale ed il mondo padano. Con il prevalere del nuovo percorso l’importanza della via Francigena e contestualmente quella delle mansioni valdelsane che attraversava, decadde drasticamente. Della antica strada si persero tracce e memorie e solo da poco tempo gli studiosi si stanno interessando alla riscoperta della via che, secondo alcuni, costituisce “l’unico esempio di aggregazione territoriale della Toscana”.
Nella prossima puntata mi occuperò delle influenze sociali e delle testimonianze artistiche lasciate in Toscana dalla via Francigena.
R.M.

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