La pubblicità, amici, ai miei tempi era una bellezza. La televisione non c'era e quindi non poteva farla, il cinema se ne teneva alla larga e i giornali la relegavano (piccola, poco invadente, timida ed educatissima) nelle ultime pagine dove, accanto agli annunci mortuari si potevano a volte leggere dei compìti trafiletti che tessevano le lodi della "Pasticca del Re Sole", del "Rabarbaro Zucca" o della "Diadermina". Tutto qui.
E' vero che, in giro per la città, l'attenzione era catturata da certi manifesti che non potevi fare a meno di guardarli, ma si trattava di immagini radiose, ottimiste, calde e rassicuranti dove bellissime ragazze stile "Grandi Firme", indossavano sorridenti e con gaia spensieratezza certe calze di nylon (con la riga) noncuranti delle tempeste ormonali che potevano suscitare fra i disorientati adolescenti (quasi tutti magri, affamati e allupati come coyotes nelle calde notti dell'Arizona). L'artista per eccellenza, il maestro indiscusso dei cartelloni pubblicitari era Boccasile, un notevole pittore che dovrebbe essere rivalutato anche dal punto di vista artistico oltre che da quello del costume italico. Le sue mamme sorridenti spandevano nuvole profumate di "Borotalco" sulle chiappette rosa dei tesorucci loro, le sue donne lavoratrici erano chine sulle macchine da cucire "Singer" (senza dimenticare di sorridere allo spettatore) che con perizia guidavano a comporre sapienti ricami fatti-in-casa, e perfino il diavolo, che saltellava emettendo garrule fiamme dalla bocca nella reclame del "Thermogene", più che un terribile demonio, suscitava l'idea di un giullare un pò tòcco, un amico allegrone e svampito come il Burlamacco del Carnevale di Viareggio.
E oggi? Oggi, semplicemente, la pubblicità è tutto. Letteralmente. La pubblicità firma il nostro vestiario, invade e straripa dalla televisione, prende per sé circa due terzi delle pagine dei settimanali, infesta le pagine del web, si fa largo tra i messaggi e le conversazioni dei telefonini, determina i palinsensti degli eventi sportivi, sponsorizza opere pubbliche e manifestazioni artistiche e può contribuire a divulgare o ad affossare ogni scoperta che sia in qualche modo favorevole o contraria al prodotto che reclamizza.
Senza pubblicità (voglio dire: senza gli introiti della pubblicità) il mondo come lo conosciamo si fermerebbe. Punto e basta. C'è persino un trasmissione TV intitolata "Il Gran Galà della Pubblicità" dove si premiano i migliori spot (scelti dal pubblico al quale evidentemente piace farsi del male). La trasmissione dura tre ore e, ovviamente, è spesso interrotta (essendo un programma di grande richiamo) da spot pubblicitari che così si avvalgono, per propagandare i loro prodotti, del gradimento che il pubblico riserva ad altri spot, migliori dei loro (perché sono in concorso), e che spesso, sono loro concorrenti.
Inutile scagliarsi contro la pubblicità, quindi. Quello che occorre dire è però che bisogna saperla fare bene.
Un buon pubblicitario è colui che riesce a piazzare un prodotto a persone che non sanno assolutamente che cosa farsene o che lo disprezzano. E' successo, succede.
Leggete l'articolo del Biri che si trova
cliccando qui, se non ci credete.
R.M.
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