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L'ACCADEMIA DEL SEMOLINO - Fobìe

Da un certo tempo (da quando cioè sono divenuti d’uso comune) si odono e si leggono sempre più spesso i termini “omofobìa” (e il relativo aggettivo “omofobo”) e “xenofobìa” (e “xenòfobo”) riferiti a certi atteggiamenti considerati intolleranti verso (rispettivamente) gli omosessuali e gli stranieri.
Restando fuori di dubbio che tali manifestazioni di razzismo debbano essere severamente riprovate occorre però notare (e mi dispiace per i media che per primi li hanno inventati, diffusi e continuano a farne uso) come tali termini siano fuorvianti oltre che etimologicamente errati.
Ricordiamo che in entrambe le parole (derivanti dal greco antico) la seconda parte è  “fobìa”, dal greco “phobos” = “paura immotivata, cieca e irragionevole”. E’ pertinente alla etimologia quindi parlare di “agorafobìa” = “paura degli spazi aperti”; “claustrofobìa” = “paura degli spazi chiusi o ristretti”; “aracnofobìa” = “paura dei ragni” e così via.
Il termine omofobìa usato per indicare “odio verso gli omosessuali” è invece completamente errato, stravolto e, addirittura fuorviante rispetto a ciò che gli si vuol far significare dato che il suo significato etimologico è esattamente l’opposto.
“Omo” deriva infatti dal greco “homos” = “simile, uguale” (opposto a “heteros” = “diverso”) e la parola “omosessuale” si attaglia a pennello per colui che fa sesso con i propri simili a distinguerlo dagli eterosessuali che lo fanno con chi è loro diverso (e quindi gli uomini con le donne, e le donne con gli uomini).
Ne discende che il vero significato della parola “omofobìa” è quello di “paura immotivata, cieca e irragionevole nei confronti di coloro che sono del nostro stesso sesso” anziché di “odio per gli omosessuali (!)” e “omofobo” non vuol dire affatto “colui che discrimina o odia gli omosessuali” ma “colui che teme i suoi simili”. Come si vede il significato corrente è pressoché il contrario di quello etimologico e viene assolutamente usato a sproposito.
Una parola quindi che abbia il significato che si usa dare a sproposito alla parola omofobia o all’aggettivo omofobo, non esiste. Da qui l’interrogativo: come definire chi discrimina (odia, ridiciolizza, disprezza ecc. ecc) gli omosessuali?
Attendo una risposta convincente e al passo con la mutata sensibilità sul problema. Ai miei tempi, quando i “finocchi” (si chiamavano così, allora, e nessuno se la prendeva) non avevano ancora rivendicato l’orgoglio di esserlo, c’era nalla mia città un giovanottone, chiamato il Mela. Il Mela era famoso per essere un noto “bruciabu’i”. Tale appellativo (di cui andava gloriosamente fiero) se lo era guadagnato sul campo (per dire..) dei cinema della città dove il nostro passava tutti i pomeriggi della sua poco indaffarata giovinezza. Il Mela, entrava nella sala a film iniziato e, adocchiato subito il tipo adatto (lo riconosceva a distanza, anche al buio), andava a sedersi in una poltroncina adiacente a quella della sua prossima vittima. Noi, seduti tre o quattro file dietro, attendevamo i prevedibili sviluppi della faccenda.
Il Mela accendeva una sigaretta, poi si spaparanzava sulla poltroncina, bello comodo e a gambe allargate. Beh, si può indovinare come andasse inevitabilmente finire. Quando il tipo (appellato sinteticamente “il bu’o”) tentava l’inevitabile “avance”, veloce come il fulmine il Mela gli spengeva la sigaretta nel dorso della mano. Un urlo, poi un velocissimo fuggir dalla sala del malcapitato “finocchio” ancora inconsapevole, a quei tempi, dell’orgoglio di esser tale.
Beh gli anni sono passati e indietro (fortunatamente) non si torna; solo, ad esser esatti, è più giusto dire “bruciabu’o” che “omofobo” anche se il significato corrente, se non etimologico, è lo stesso.
E qui, nella speranza di non aver scandalizzato nessuno, la chiudo.

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