Già, ma che cos’è il Natale?
Io sapevo (o almeno credevo di sapere) che il Natale, quello che si celebra il 25 di Dicembre, è un giorno speciale, il giorno in cui si ricorda un anniversario importante, niente meno che la nascita di Gesù Salvatore.
Del resto il nome stesso: “Natale” altro non è che l’abbreviazione di “Giorno Natale”, come a dire il giorno della Nascita più importante per i cristiani, la Nascita per autonomasia in quanto Chi nasce è Colui che sconfiggerà la morte.
Questo, e niente di meno di questo, era il Natale della mia infanzia, e dell’infanzia dei miei genitori e dei loro genitori e così via, procedendo all’indietro nei tempi fin quasi ai primordi della Cristianità.
La sera della vigilia di Natale, nella Notte Santa, la famiglia trovava sempre il tempo per riunirsi in breve raccoglimento davanti al Presepio, quel Presepio che i genitori, aiutati dai più piccini, avevano provveduto ad allestire nei giorni precedenti.
In casa mia c’erano regole ferree al proposito. Dopo che la mamma aveva liberato la superficie della cassapanca che troneggiava nell’ingresso (e che avrebbe costituito, unico posto adatto allo scopo, il teatro della sacra rappresentazione), il babbo tirava fuori le statuine dallo scatolone dove avevano giaciuto dimenticate per un anno intero e le esaminava ad una ad una per vedere se non si fossero rovinate in qualche parte. Io, da parte mia, mi ero già occupato nei giorni precedenti della parte più difficile: reperire la borraccina. La borraccina! Il muschio, direbbero oggi alzando il naso con aria schifata all’udire la volgare parola, ma, credete a me: muschio quello non era; non almeno quello che trovavo io. Io trovavo della bellissima borraccina, niente di più e niente di meno; grassa, umida, verde come un ramarro dalla pelle color smeraldo e profumatissima di sana terra invernale. La mettevo, suddivisa in larghe sfoglie, dentro in un sacchetto di tessuto da balla e il giorno della costruzione del Presepio la tiravo fuori, a disposizione del babbo e della mamma che la disponevano accuratamente sulla cassapanca la cui superficie ne veniva tutta ricoperta salvo la parte dove sarebbe andata la capannuccia e una più centrale, rotonda, dove la mamma metteva un piccolo specchio circolare che fungeva da laghetto. La capannuccia si metteva in un angolo, bene in vista da parte di chi entrava, e dentro c’era anche una piccola lampadina che, nascosta, la illuminava di una lucina diffusa e misteriosa. Dalla porta della capannuccia si dipartiva una stradina fatta di segatura mentre dietro la capanna c’era, fatta con la carta da pacchi, tutta una pendice montana contorta e dirupata dove piazzavamo a discrezione pecore e pastori. I pastori stavano lì, in equilibrio instabile ed in certe pose così poco spontanee che facevano quasi tenerezza, chi voltato a destra, chi a sinistra come a cercar il modo di scendere da quella scomoda posizione in cui qualcuno li aveva cacciati mentre le pecorelle giacevano sparse in qua e là per quelle rocce come pesci fuor d’acqua che, anche se per contratto facevano il verso di brucare qualcosa, c’era da giurarci che di erba in quei posti, non ce n’era nemmeno l’ombra.
Nei paraggi della capanna della Natività, gran fermento. Una folla sparsa di lavandaie, pastori, garzoni, donne di casa, contadini si aggirava con aria allegra e tirata nei dintorni. C’erano anche un arrotino, un cantastorie, un arabo con cammello, un negretto, e un pescatore con tanto di canna (pescava nello specchio); quanto agli animali domestici e da cortile, a bizzeffe. Tacchini, oche, maiali, caprette, buoi in ogni dove, e ancora cammelli, dromedari e un elefante. Un cigno di plastica (stonava con il resto della compagnia) sguazzava altero e dignitoso nell’acque del laghetto (sempre lo specchio).
Il babbo per ultimi disponeva nella capannuccia i protagonisti indiscussi dell’intera scenografia: la Madonna, Giuseppe, il bue e l’asinello, mentre la paglia dove dopo mezzanotte sarebbe stato deposto il Bambin Gesù restava nel frattempo desolatamente vuota, e c’era da chiedersi perché Maria e Giuseppe restassero inginocchiati e in atteggiamento adorante davanti ad un giaciglio dove ancora non c’era nessuno, ma forse già presagivano chi sarebbe arrivato e non volevano farsi trovare impreparati... Per finire sul tetto della capannuccia si incollava una fiammante Stella Cometa (di cartone ricoperto di lustrini) mentre i Tre Re Magi, per far parte della bella compagnia, dovevano rassegnarsi ad aspettare ancora qualche giorno perché nel Presepio prima del giorno dell’Epifania la mamma, custode ed interprete delle Scritture come una Cristiana della prima ora, non c’era verso che ce li mettesse.
E come la mia, ogni famiglia faceva il proprio Presepio, e ogni chiesa, ogni scuola, ogni confraternita, ogni circolo… Ricordo che la vigilia di Natale io e i miei amici si andava per chiese (a Siena, hai voglia di chiese, almeno allora) a visitare i Presepi, e ce n’erano di quelli famosi, alcuni musicali, alcuni artistici, e monumentali, e viventi…
La notte, noi bambini si andava a letto tutti eccitati: che ci avrebbe portato il Ceppo? Il Ceppo era l’abbreviazione popolare del Natale; si diceva “Pel Ceppo si sta tutti in famiglia”, o anche “Fra poco è il Ceppo”; io penso che probabilmente la parola derivava dall’usanza contadina di mettere al centro del focolare un bel ceppo di legno la notte di natale. Babbo Natale no, quello ancora non era nato.
Il giorno dopo noi ragazzi appena alzati, via! Ancora scalzi, con la mamma che ci gridava dietro: “Mettiti le scarpe, ti raffreddi!”, s’arrivava in un lampo davanti al focolare e lì c’erano i regali. Beh, forse dovrei dire “il” regalo perché più di uno era difficile trovarne. Una volta un trenino, un’altra la pistola coi fulminanti a striscia, poi, via via che si imparava a leggere, arrivavano i libri… Alle 12 si andava in Cattedrale per la Messa Solenne e nel pomeriggio a fare il giro dei parenti che qualcosa, in cambio di un “Buon Natale, zio” e di un abbraccio frettoloso, ti allungavano sempre. Ah, dimenticavo: a pranzo quel giorno c’era il mitico pollo al forno con patate arrosto, e per finire il panforte e i ricciarelli… Che grande Natale! Che bei Natali! Che fantastici, meravigliosi, indimenticabili Natali!
Poi, piano piano, mascherato da operazione commerciale ma pianificato come una campagna bellica, arrivò, piano piano, di nascosto, ma decisissimo a prevalere, il Grande Nemico del Natale vero: il grassone dall’occhietti porcini e dal naso paonazzo, il grosso giullare velatamente pedòfilo tutto vestito di rosso con cinturone di cuoio e stivaloni a mezza gamba; venne tutto allegro con la candida barbona curatissima e l’espressione arguta e velatamente cameratesca, venne il dirompente alieno da Non-si-sa-dove a scalzare dal suo piedistallo fatto di vera storia, di sentita religiosità, e di sana cultura popolare il vecchio caro Presepio, venne lui: Babbo Natale!
Niente fu più prima. Il vecchiaccio lubrico si impossessò del Natale sbaragliando il presepio e sostituendo all’umile religiosità popolare la dirompente potenza di migliaia di prodotti commerciali reclamizzati in ogni dove con campagne di pubblicità suadenti ma ossessive e martellanti. Babbo Natale! Ma che cosa vuole costui? Come è stato permesso a questo insipido gadget della Coca-Cola di sostituirsi nientemeno che a Gesù Bambino?
Non lo so; non lo sa nessuno. So solo che è stato fatto e che il 25 Dicembre da ricorrenza di un fatto storico e religioso si è trasformato in un happening del consumismo più inutile e sfrenato, a somiglianza della Giornata della Mamma o di quella del Papà, una specie di Giornata del Regalo o della Spesa A Tutti I Costi.
………
Gesù Bambino è nato anche oggi, come fa da oltre duemila anni, in una mangiatoia. Un pò più solo, un pò più dimenticato ma anche oggi, come allora, è nato per noi, per morire per noi, per offrirci, senza nessun motivo apparente e senza alcun nostro merito, nonostante noi e nonostante Babbo Natale, nientemeno che la salvezza, nientemeno che l’eternità.
Grazie, Gesù.
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